Che l'amore sia tutto, è tutto ciò che sappiamo dell'amore (Emily Dickinson).



martedì 2 dicembre 2008

Da "Grazia".

La mia giornata inizia con un salto in PIAZZA (virtuale)
Scritto da Vera Montanari 25/11/2008 (1 weeks ago)

Direttore del settimanale "Grazia"

Ho scoperto di avere 130 amici, su Facebook. Molti non so neppure chi siano, qualcuno lo conosco, qualcuno è davvero mio amico. E non capisco perché dovremmo parlarci via internet.
Però, in effetti, succede sempre più spesso ed è bizzarro, ma comodo. Ho cominciato, come molti, per curiosità. Tutti parlavano di questa strana “piazza virtuale”, si cominciava a leggerne sui giornali, per mestiere mi occupo di quello che succede nel mondo, la cosa più semplice mi è sembrato andare a vedere. Poi la cosa mi ha preso la mano, nel senso che nel giro di qualche giorno sono cominciate ad arrivarmi decine di richieste e rifiutarle mi sembrava scortese…
Le prime “amicizie” sono nate con i figli delle mie amiche, veri pionieri di Facebook, che mi scrivevano sorpresi e divertiti all’idea di trovare “un’adulta”, come me, in quel contesto. Poi hanno cominciato a scrivermi le lettrici di «Grazia» (come potevo dire di no?), e poi, man mano, conoscenti, collaboratori, gli amici degli amici, ex colleghi, ex compagni di scuola… Più qualche affetto vero, gente a cui voglio bene e sarei ben felice di frequentare di più, ma la vita è complicata, si lavora, tanto, si torna a casa stanchi e il giorno dopo si ricomincia.
Adesso invece, quando arrivo in ufficio, accendo il computer, do un’occhiata alle mail, poi al blog di «Grazia» e, infine, apro Facebook. Se sono fortunata e tra gli “amici” che sono già collegati (e stanno già blaterando in rete, perché, diciamoci la verità, di questo si tratta per lo più: straparlamento collettivo ed egocentrico, qualche volta divertente, spesso inutile) c’è qualcuno che ho voglia di salutare, prima di cominciare a lavorare, colgo l’occasione ed è una specie di sorpresa, di regalo. L’altro giorno, per esempio, indossavo una giacca, regalo di un’amica, che non vedo da parecchio tempo: beccarla collegata e poterle raccontare il mio/suo look mi è sembrata quella che Jung chiama sincronicity, una felice coincidenza. Poi, nel corso della giornata, non frequento quasi mai Facebook. Leggo, però, che non è così per molti, moltissimi utenti che stanno invece sperimentando una sorta di dipendenza psicologica da quella seducente piazza virtuale, a livelli tali che alcune aziende hanno già cominciato a vietarla (e proprio a questo divieto si è ispirato il nostro scrittore della settimana. A pag. 34).
Faccio fatica a capire, prima di tutto perché ho ritmi frenetici tutto il giorno che non mi consentono tanti spazi di pausa, ma soprattutto perché, quando mi capita di avere un minuto e smanaccio con il computer (sono una gran nevrotica, non riesco mai a stare ferma e ho la tendenza ad inzeppare il mio tempo esattamente come i miei armadi e la mia testa), entro anche in Facebook, ma francamente come ci si può appassionare al fatto che Elisa (prima di tutto, chi è Elisa?) sta mangiando cioccolata o che Alba (?) abbia finalmente trovato uno straccio di fidanzato…? Senza contare che, il più delle volte, mentre sono lì che scorro velocemente le “notizie”, tac, esce la finestrella: “Posso chiederle una cosa?”, e so già che saranno guai, gente che vorrebbe tanto diventare giornalista, scrittori in cerca di editori, qualche poeta… Ma il meglio di Facebook sono “le campagne”: ogni giorno la creatività degli utenti inventa decine di cause, serie o demenziali, a cui invitarti ad aderire. Recentemente ho accettato quella per “l’adozione di un surfista californiano di 20 anni…”. Ma la migliore rimane una della prima ora e che dice:
«Ma perché hai accettato di essere mio amico su Facebook se neppure mi saluti quando mi incontri?». Geniale e così vera.



Mi permetto di rettificare: ad Ivrea funziona diversamente. Qui vige il : "perchè mi aggiungi se poi non mi saluti?" direi che è più adatto!

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