Che l'amore sia tutto, è tutto ciò che sappiamo dell'amore (Emily Dickinson).



giovedì 13 settembre 2012

Siamo quello che abbiamo.

Siamo partiti dal bananone, ovvero il primo telefono cellulare.
Enorme ovviamente, con una batteria ingombrante e un'antenna chilometrica.
Poi è iniziata la sfida per produrre i cellulari più piccoli.
Tasti così minuscoli da dover utilizzare la punta delle dita per non premerne tre assieme.

E poi cos'è successo? Siamo tornati indietro e ora abbiamo telefoni troppo grandi per le nostre tasche.
Oltre a voler per forza quella cosa che tutti devono possedere, dobbiamo anche esibirla.
E una cosa tascabile non è abbastanza per apparire fighi e per essere all'altezza.


Eppure i film cult della nostra generazione, con il loro protagonisti quasi mitici,  ci avevano avvisato che sarebbe andata a fine così. 


Mark Renton, ad esempio, è stato fin da subito diretto con noi: "Scegliete la vita; scegliete un lavoro; scegliete una carriera; scegliete la famiglia; scegliete un maxitelevisore del cazzo; scegliete lavatrici, macchine, lettori CD e apriscatole elettrici. Scegliete la buona salute, il colesterolo basso e la polizza vita; scegliete un mutuo a interessi fissi; scegliete una prima casa; scegliete gli amici; scegliete una moda casual e le valigie in tinta; scegliete un salotto di tre pezzi a rate e ricopritelo con una stoffa del cazzo; scegliete il fai da te e chiedetevi chi cacchio siete la domenica mattina; scegliete di sedervi sul divano a spappolarvi il cervello e lo spirito con i quiz mentre vi ingozzate di schifezze da mangiare. Alla fine scegliete di marcire, di tirare le cuoia in uno squallido ospizio ridotti a motivo di imbarazzo per gli stronzetti viziati ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi; scegliete un futuro; scegliete la vita. Ma perché dovrei fare una cosa così? Io ho scelto di non scegliere la vita: ho scelto qualcos'altro. Le ragioni? Non ci sono ragioni. Chi ha bisogno di ragioni quando ha l'eroina?"


Ok, è vero Mark aveva il piccolo difetto di farsi di eroina.


Ma poi c'è stato Tyler Durden. E il suo esercito di sovversivi che faceva esplodere gli istituiti di credito per ristabilire la parità economica.


"Omicidi, crimini, povertà. Queste cose non mi spaventano. Quello che mi spaventa sono le celebrità sulle riviste, la televisione con cinquecento canali, il nome di un tizio sulle mie mutande, i farmaci per capelli, il viagra, poche calorie".


"Le cose che possiedi alla fine ti possiedono".


"La pubblicità ci fa inseguire le macchine e i vestiti, fare lavori che odiamo per comprare cazzate che non ci servono. Siamo i figli di mezzo della storia, non abbiamo né uno scopo né un posto. Non abbiamo la grande guerra né la grande depressione. La nostra grande guerra è quella spirituale, la nostra grande depressione è la nostra vita. Siamo cresciuti con la televisione che ci ha convinto che un giorno saremmo diventati miliardari, miti del cinema, rock stars. Ma non è così. E lentamente lo stiamo imparando. E ne abbiamo veramente le palle piene."


"Tu non sei il tuo lavoro, non sei la quantità di soldi che hai in banca, non sei la macchina che guidi, né il contenuto del tuo portafogli, non sei i tuoi vestiti di marca, sei la canticchiante e danzante merda del mondo!"


Ok, anche Tyler aveva qualcosa che non andava. Era solo l'alterego pazzo di Edward Norton d'altra parte.


Ma in fondo avevano ragione e sappiamo benissimo che ci hanno preso.

Ne siamo consapevoli quando ci troviamo con gli amici e riusciamo solo a parlare di fatture e imposte.
E ce ne rendiamo conto quando squadriamo la borsa che indossa la ragazza che appena entrata nel locale.

Ma forse ci va bene così.






Fanno quel che vogliono si sappia in giro fanno, spendono, spandono e sono quel che hanno. 
Sono intorno a me ma non parlano con me... Sono come me ma si sentono meglio...