Che l'amore sia tutto, è tutto ciò che sappiamo dell'amore (Emily Dickinson).
martedì 30 dicembre 2014
30 dicembre 2014
Quel momento in cui credi che tutto possa cambiare.
Non rinuncio mai a certe speranze.
Può essere il difetto di una persona.
La mentalità chiusa e superficiale di un paese.
Lo schermo rotto del telefono.
Io ci spero sempre.
Almeno un pochino.. almeno tra me e me, senza quasi ammetterlo neanche a me stessa per non fare un'altra volta la figura dell'ingenua o della scema.
Spero che le cose cambino.
Confido che i ritardatari diventino improvvisamente puntuali..
che un giorno o l'altro chi ti fissa con superiorità diventi affabile..
che se chiudo e riapro la custodia del telefono io possa trovare lo schermo intatto come per magia..
che alla fine di un mio dei miei discorsoni in cui ripeto sempre gli stessi quattro concetti in croce, chi sta davanti a me capisca finalmente il mio punto di vista e sostituisca a quel "basta" frustrato un "la penso come te".
Ma in fin dei conti lo so: alcune cose non possono cambiare mai.
Faccio fatica ad accettarlo, mi fodero gli occhi e continuo a scommettere sul cambiamento.
E a dimenticare quasi come stanno le cose.
E' così che qualche anno fa mi sono ritrovata a lanciare in aria una moneta, complice anche l'ebbrezza data dall'illusione di essere riusciti a modificare la propria realtà.
Ma quello non era niente, se non una mera ebbrezza appunto.
Fugace per giunta.
Ci ho messo tanto tempo, o forse ci ho messo il giusto, a svegliarmi da quel letargo in cui mi ero collocata.
So che tutto è cominciato in un pomeriggio autunnale mentre camminavo su via Castel Morrone.
E so che in questi giorni ho terminato quella lunga strada.
Mi manca la mia città.
Mi manca Milano.
"Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti".C. Pavese -La luna e i falò-
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venerdì 26 dicembre 2014
Voglio ricordarmi di questa immagine:
io che la sera prima del mio super esame penso solo a mettere in ordine le canzoni sul lettore mp3.
E' questo l'atteggiamento distaccato che non mi hai mai tradito e che spero che anche stavolta mi porterà ad "uscire a riveder le stelle".
io che la sera prima del mio super esame penso solo a mettere in ordine le canzoni sul lettore mp3.
E' questo l'atteggiamento distaccato che non mi hai mai tradito e che spero che anche stavolta mi porterà ad "uscire a riveder le stelle".
giovedì 11 dicembre 2014
Il diritto e la giustizia penale davanti al dramma dell’amianto: riflettendo sull'epilogo del caso Eternit
Questo è il genere di articolo che dovrebbe avere visibilità sui quotidiani: qui sono riportate le problematiche del processo Eternit in modo imparziale, tecnico, accurato. Certo, non è l'articolo che fa leva sull'emotività della gente e che liquida in pochi secondi una vicenda complessa.
Richiede diversi minuti di lettura e maggior attenzione.
Se vi fidate, io ho evidenziato le parti più importanti. Leggetele, sono minuti ben spesi.
Se non avete propria voglia di leggerlo, vi riporto qui i paragrafi che secondo me sono i più significativi.
E se non avete voglia neanche di leggero questo, vi chiedo solo di non prestarvi al gioco dei nostri mezzi di informazione, di avere sempre voglia di informarvi e di non accontentarvi di spiegazioni facili ma erronee.
"Non è certo la prima volta che una decisione giudiziaria suscita reazioni, anche forti, in ampi settori dell'opinione pubblica: basti pensare, tra le molte, alla recente sentenza di assoluzione pronunciata dalla Corte d'Appello di Roma nel processo per la morte di Stefano Cucchi, o alla sentenza di assoluzione di Silvio Berlusconi pronunciata dalla Corte d'Appello di Milano nel processo Ruby.
In un paese come il nostro, sempre più dominato dai mezzi di comunicazione di massa e da un'informazione non di rado di qualità scadente, è tuttavia preoccupante la tendenza a trasferire sotto le luci dei riflettori la complessità del diritto e del processo penale (...)."
E' però certo che i giudici che hanno pronunciato quelle sentenze hanno avuto il coraggio di scelte impopolari, che rappresentano un dovere nella misura in cui i giudici stessi si convincano, a ragione o a torto, che a imporle è la legge. Non bisogna dimenticare, neanche davanti al dramma delle morti da amianto, che nel diritto penale la fedeltà alla legge non ha prezzo: da essa dipende la garanzia della libertà di ciascuno. Il diritto non può essere piegato alla giustizia sostanziale, perché ciò che è o sembra giusto oggi, può non esserlo domani, e non è comunque afferrabile con certezza, come deve esserlo il diritto. Sta al legislatore far coincidere diritto e giustizia; e sta anche al giudice farlo, ma solo nel limite in cui ciò non significhi operare contra o praeter legem.
Articolo di Gian Luigi Gatta sulla Rivista Diritto Penale Contemporaneo.
http://www.penalecontemporaneo.it/area/1-/-/-/3466-il_diritto_e_la_giustizia_penale_davanti_al_dramma_dell___amianto__riflettendo_sull_epilogo_del_caso_eternit/
Con un'attesa decisione della Corte di cassazione, giunta giovedì scorso (18 novembre 2014), è calato il sipario sul processo Eternit, travolto sulla linea del traguardo dalla declaratoria di prescrizione del reato di disastro doloso (art. 434 c.p.), oggetto di contestazione. Per quel reato, come è noto, nel giugno del 2013 laCorte d'Appello di Torino aveva condannato a diciotto anni di reclusione Stephan Schmidheiny, amministratore (tra il 1974 e il 1986) di Eternit S.p.A., che già ilTribunale di Torino aveva ritenuto responsabile di un disastro ambientale dal quale sono conseguite malattie professionali e morti per asbestosi o tumore polmonare di migliaia di persone, a lungo esposte a polveri di amianto negli ambienti di lavoro e in quelli circostanti: a Casale Monferrato (AL), a Cavagnolo (TO), a Rubiera (RE), e a Napoli (Bagnoli).
La decisione della Cassazione ha suscitato molto clamore, e ha occupato le prime pagine dei media. Non poteva che essere così: in un colpo quella decisione ha fatto esplodere come una bolla di sapone - anche agli effetti civili - il più importante processo penale celebrato nel nostro Paese per morti e malattie amianto-correlate; un processo gravato dal peso del dolore di migliaia di persone, che dopo due condanne nei giudizi di merito hanno inaspettatamente visto sfumare al fotofinish l'esito atteso. Ed è un dolore ancor più acuto perché i tempi di latenza del terribile e incurabile male (il mesotelioma pleurico) fanno sì che ancora oggi a morte si assommi morte, impedendo al trascorrere del tempo di rimarginare ferite che resteranno indelebili, per chi le ha subite.
L'opinione pubblica si è per lo più indignata per la decisione della Cassazione, certamente impopolare. E la politica, sempre più incline alla raccolta del facile consenso, si è per lo più associata all'indignazione e allo sconcerto per tante morti rimaste senza condanna, preannunciando subito una riforma dell'istituto della prescrizione del reato. Tutto questo - ça va sans dire - senza l'ombra di alcuna autocritica per non aver riformato prima un quadro normativo che, a torto o a ragione, ha consentito ai giudici della Cassazione di dichiarare la prescrizione del reato.
Al giurista compete naturalmente valutare la decisione e la vicenda che ne è seguita sulla base dei principi e delle norme che reggono il sistema. E' evidente che una simile valutazione non può prescindere dalle motivazioni della sentenza, che allo stato non si conoscono. Alcune riflessioni a margine della vicenda sono però possibili sin d'ora, a caldo.
2. Anticiperò subito alcune riflessioni suscitate dall'epilogo della vicenda Eternit, al netto della sua rappresentazione mediatica. Dedicherò poi alcune considerazioni al problema tecnico-giuridico - centrale ai fini dell'individuazione del dies a quo del termine di prescrizione del reato - relativo all'individuazione delmomento consumativo del disastro in ipotesi di dispersione di polveri di amianto.
2.1. Credibilità della giustizia penale. - La vicenda Eternit segna indubbiamenteuna frattura tra la giustizia pubblica, amministrata in nome del popolo, e la sete di giustizia delle vittime dell'amianto e dei loro familiari, rimasta inappagata. Una sentenza della Suprema Corte che in nome del popolo italiano dichiara prescritto il reato contestato a chi, nei due precedenti gradi del giudizio, è stato invece ritenuto responsabile di fatti gravissimi, che hanno comportato la morte di migliaia di persone e altrettante malattie incurabili, ha inevitabilmente nella percezione sociale il sapore dell'ingiustizia. Può ben darsi - ed è questa la mia personale impressione - che vi siano forti ragioni per argomentare la correttezza, in punto di diritto, della decisione della Suprema Corte. Ed è fuor di dubbio, in un diritto penale retto dai principi di legalità dei reati e delle pene, che la sete di giustizia dei cittadini non deve essere soddisfatta sempre e comunque, facendola prevalere sulla forma.
Se ciò è vero, è anche vero che non è affatto facile assicurare credibilità al sistema evitando il disorientamento dell'opinione pubblica di fronte a una sentenza pronunciata da giudici di legittimità - fisiologicamente lontani dalle vittime e dai fatti -, che pone nel nulla due condanne consecutive pur sempre pronunciate in nome del popolo italiano nei giudizi di merito, da parte di giudici invece immersi nei fatti e vicini allo sguardo delle vittime e dei loro familiari. Quando nell'ultimo grado del giudizio si afferma la prescrizione del reato, decorsa già all'epoca dell'avvio del procedimento penale, si certifica in sostanza l'inutilità del procedimento stesso. Delle due l'una: o la declaratoria di prescrizione del reato da parte dei giudici della Cassazione non è giuridicamente corretta, oppure è stata infelice la scelta, da parte della Procura di Torino, di contestare ai responsabili di Eternit un reato già prescritto. In ogni caso, agli occhi dell'opinione pubblica e delle vittime l'apparato giudiziario ha prodotto una in-giustizia.
2.2. Fedeltà alle legge e decisioni impopolari. - La decisione della Cassazione, come si diceva, ha avuto larghissima eco su tutti i principali mezzi di informazione. Le cronache e i commenti, pur diversi tra loro, hanno per lo più veicolato il messaggio dell'indignazione per l'impunità di migliaia di morti da amianto. Voci fortemente critiche si sono levate da più parti (opinionisti, politici, sindacalisti, e così via). Non sono mancate prese di posizione da parte di esponenti delle istituzioni e di autorevoli magistrati.
Non è certo la prima volta che una decisione giudiziaria suscita reazioni, anche forti, in ampi settori dell'opinione pubblica: basti pensare, tra le molte, alla recente sentenza di assoluzione pronunciata dalla Corte d'Appello di Roma nel processo per la morte di Stefano Cucchi, o alla sentenza di assoluzione di Silvio Berlusconi pronunciata dalla Corte d'Appello di Milano nel processo Ruby. In un paese come il nostro, sempre più dominato dai mezzi di comunicazione di massa e da un'informazione non di rado di qualità scadente, è tuttavia preoccupante la tendenza a trasferire sotto le luci dei riflettori la complessità del diritto e del processo penale. Si tratta infatti di materie che mal si prestano alla semplificazione mediatica e sulle quali tuttavia, come ha ben detto Winfried Hassemer[1], tutti ritengono di poter dire la loro (un po' come nel calcio), nonostante pochi ne abbiano in realtà una conoscenza anche solo elementare (se non altro perché il diritto e la procedura penale sono estranei ai programmi di insegnamento delle scuole primarie e secondarie).
Quando la critica delle sentenze si trasforma in pressione mediatica sui magistrati, il rischio è di metterne a repentaglio l'autonomia e la soggezione "soltanto" alla legge, che è poi un fondamentale principio costituzionale (art. 101, co. 2 Cost.). Può ben darsi che la sentenza della Cassazione sul caso Eternit non sia corretta (il diritto non è una scienza esatta, e l'infallibilità non appartiene al genere umano); come può ben darsi che non lo siano quelle della Corte d'Appello di Roma sul caso Cucchi, e quella della Corte d'Appello di Milano sul caso Ruby. E' però certo che i giudici che hanno pronunciato quelle sentenze hanno avuto il coraggio di scelte impopolari, che rappresentano un dovere nella misura in cui i giudici stessi si convincano, a ragione o a torto, che a imporle è la legge. Non bisogna dimenticare, neanche davanti al dramma delle morti da amianto, che nel diritto penale la fedeltà alla legge non ha prezzo: da essa dipende la garanzia della libertà di ciascuno. Il diritto non può essere piegato alla giustizia sostanziale, perché ciò che è o sembra giusto oggi, può non esserlo domani, e non è comunque afferrabile con certezza, come deve esserlo il diritto. Sta al legislatore far coincidere diritto e giustizia; e sta anche al giudice farlo, ma solo nel limite in cui ciò non significhi operare contra o praeter legem (in tema segnalo un recentissimo intervento del prof. Glauco Giostra, pubblicato ieri nell'inserto domenicale del Corriere della Sera). Per questo condividiamo le parole con le quali il Procuratore Generale Iacoviello ha concluso la requisitoria davanti alla Cassazione, nel processo Eternit: "ci sono dei momenti in cui diritto e giustizia vanno da parti opposte; è naturale che le parti offese scelgano la strada della giustizia, ma quando il giudice è posto di fronte alla scelta drammatica tra diritto e giustizia non ha alternativa. Un giudice sottoposto alla legge tra diritto e giustizia deve scegliere il diritto". E' una fondamentale garanzia messa a rischio in occasione di pressioni mediatiche intense come quelle registrate in questi giorni a margine del caso Eternit; pressioni che certo saranno avvertite dai magistrati che, nelle diverse sedi giudiziarie, si stanno occupando e si occuperanno di casi analoghi, più o meno noti.
E' vero, come hanno ricordato a commento della vicenda autorevoli magistrati e giuristi come Vladimiro Zagrebelsky (su La Stampa) e Gian Carlo Caselli (a Radio 24), che è imperitura la massima 'summum ius, summa iniuria', e che - lo ha sostenuto anche il prof. Carlo Federico Grosso (su La Stampa) - ragioni di giustizia sostanziale avrebbero potuto spingere la Corte di Cassazione a un'interpretazione diversa sul momento consumativo del disastro (ad es., proprio quella fatta propria dalla Corte d'Appello di Torino), evitando la prescrizione del reato; analogamente si è espresso anche Alberto Oggè (su La Stampa), già Presidente del collegio della Corte d'Appello nel giudizio di secondo grado conclusosi con la sentenza di condanna annullata dalla Cassazione. E' però anche vero quanto ha osservato la pur autorevole voce di Cesare Mirabelli (su Il Messaggero e Il Mattino), Presidente emerito della Corte costituzionale: "si può comprendere che sconcerti una così differente valutazione nei diversi gradi di giudizio. Come pure si può comprendere la delusione dei familiari di chi ha perso la vita per le infermità provocate dall'amianto ed il loro legittimo desiderio che se ne accertino le responsabilità.Non si possono invece condividere le manifestazioni dirette ad esercitare una qualche pressione sui giudici, reclamando la soddisfazione di una pretesa 'giustizia sostanziale' che forzi le regole del sistema penale e le garanzie del processo". E ciò è ancor più vero - ci permettiamo di aggiungere - se si considera che esisteva (e forse esiste ancora) una strada diversa, lungo la quale corre la possibilità di conciliare la giustizia formale con quella sostanziale, evitando le strettoie della prescrizione del reato: la contestazione da parte della pubblica accusa dei delitti di lesioni personali e di omicidio.
2.3. Un equivoco da sfatare: l'epilogo del processo Eternit non dipende dalla disciplina della prescrizione del reato, ma dal momento consumativo del contestato disastro. - All'indomani della sentenza della Cassazione autorevoli esponenti delle istituzioni e della politica hanno puntato il dito sulla disciplina dell'istituto della prescrizione del reato, preannunciandone la riforma. Senonché, come ha subito notato un attento osservatore come Luigi Ferrarella (su Il Corriere della Sera), non si deve "illudere la gente che la prescrizione sia dipesa dalla lentezza della giustizia (tre gradi di giudizio in appena 4 anni?) o dai guasti della per molto altro nefanda legge ex Cirielli". Sia chiaro: ben venga una riforma della prescrizione, che il Governo aveva peraltro annunciato già nell'agosto di quest'anno, e che la dottrina invoca da dieci anni (tanto è passato, ormai, dalla citata riforma del 2005, che come tutti sanno ha generalmente ridotto i termini di prescrizione dei reati più gravi, falcidiando un enorme numero di procedimenti penali). E' però ben difficile che un novellato assetto della prescrizione del reato - compreso un eventuale raddoppio dei termini per il disastro doloso, come già l'art. 157, co. 5 c.p. stabilisce per il disastro colposo -possa mettere al sicuro le sorti dei procedimenti per morti da malattie amianto-correlate, che normalmente si verificano a distanza di decenni dalla cessazione delle attività produttive implicanti la dispersione delle polveri di amianto, e talora anche dalla intervenuta opera di bonifica dei siti inquinati (in senso analogo, nel commentare la vicenda Eternit, si è espresso anche il prof. Mauro Catenacci su Il Messaggero). Come dimostra la vicenda Eternit - al giurista è ben chiaro; non anche, purtroppo, all'opinione pubblica - la prescrizione dipende in quei procedimenti dal momento consumativo del reato oggetto di contestazione. Se si contestano l'omicidio o le lesioni personali, nulla quaestio: i tragici eventi, purtroppo ancora attuali, segneranno il dies a quo del termine prescrizionale, sicché l'ultima morte o malattia professionale terrà in piedi il processo, evitandone la prescrizione. Se però, come nel caso di Eternit, si contesta il disastro (il macro-evento che ha messo in pericolo la vita e l'incolumità fisica di un numero indeterminato di persone, poi effettivamente colpite da malattia e morte per patologie correlate all'esposizione all'amianto) quel termine sarà verosimilmente decorso - quale che sia il futuro assetto della disciplina della prescrizione del reato - nella misura in cui si affermi il principio, evidentemente seguito dalla Cassazione, secondo cui il disastro si consuma con la cessazione della condotta (venti, trenta o quaranta anni fa), e non finché si producono gli effetti (malattie/morti).
E' chiaro che la politica cerca oggi di sfruttare l'occasione della sentenza Eternit per vincere le difficoltà (interne alla politica stessa) a riformare l'istituto della prescrizione del reato (uno dei temi più scottanti tra quelli all'ordine del giorno nell'ambito della riforma della giustizia penale). Sarebbe però un errore concentrare le attenzioni su quel solo versante, dimenticando che è attualmente all'esame del Senato un disegno di legge (S. 1345, Realacci e altri: "Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente") già approvato dalla Camera nel febbraio del 2014, che per la prima volta introduce in un nuovo art. 452 ter del codice penale un delitto di disastro ambientale, ad oggi figura di creazione giurisprudenziale ricondotta al c.d. disastro innominato previsto dall'art. 434 c.p. (la cui versione, come tutti sanno, risale al 1930). La nuova incriminazione (che non brilla per precisione e sufficiente tipizzazione del fatto incriminato) è accompagnata da una definizione legale del concetto di disastro, comprensiva della "offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza oggettiva del fatto per l'estensione della compromissione ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo". Quale migliore occasione per riflettere su come implementare la prevenzione e la repressione dei fenomeni di più grave inquinamento da sostanze tossiche?
3. Come si diceva, il vero nodo problematico al quale è legata la ghigliottina della prescrizione caduta sul processo Eternit è rappresentato dal momento consumativo del contestato delitto di disastro innominato. A quanto pare - stando a un comunicato stampa della S.C., riportato dai quotidiani all'indomani della sentenza - la Cassazione avrebbe fissato il dies a quo del termine di prescrizione del reato nel 1986, data della chiusura degli stabilimenti Eternit.
Solo dalla motivazione della sentenza sapremo se ciò dipende dalla qualificazione della fattispecie di cui all'art. 434, co. 2 c.p. come circostanza aggravante, piuttosto che dalla configurazione del disastro come reato (eventualmente) permanente, nel quale la permanenza del reato cessa al cessare della condotta (l'attività industriale), ovvero da altro ancora.
Nell'attesa delle motivazioni possiamo solo limitarci a qualche breve riflessione, utile anche in considerazione del fatto che il problema ha portata generale: coinvolge, oggi più che mai, tutti i procedimenti per morti o malattie legate all'amianto o ad altre sostanze tossiche, nei quali siano stati contestati i delitti di disastro innominato doloso (art. 434 c.p., come nei noti casi Ilva e Tirreno Power) o colposo (artt. 434, 449 c.p.).
3.1. Una prima riflessione è improntata a sano realismo: la tesi accolta dalla Cassazione fa evidentemente cadere una mannaia sulla strategia processuale dell'accusa, che nel processo Eternit, al pari di altri processi più o meno noti e relativi a vicende analoghe, ha scelto di contestare ai responsabili delle attività industriali correlate all'amianto non già (anche o solo) i singoli omicidi/lesioni personali, bensì (solo) un macro-evento di disastro. E' una scelta che semplifica l'onere probatorio: l'accusa non deve infatti dimostrare in relazione ai singoli eventi il nesso di causalità con l'esposizione alle fibre di amianto. E' però una strategia processuale ad alto rischio suicida, come conferma la sentenza Eternit della Cassazione, non priva peraltro di precedenti, anche recentissimi, nella giurisprudenza di legittimità (mi riferisco alla sentenza Sacelit, depositata a maggio di quest'anno - clicca qui per il testo - con la quale, dopo aver anche in quel caso fissato il momento consumativo del reato in quello della cessazione dell'attività industriale, è stato dichiarato prescritto il disastro colposo da dispersione nell'ambiente di polveri di amianto). Se si dovesse consolidare il principio della cessazione dell'attività industriale come momento consumativo del reato, la gran parte dei processi in corso per malattie professionali correlate ad attività industriali cessate da oltre un decennio è destinata allo stesso epilogo di Eternit. E lo è perché la Cassazione non ha stravolto la propria giurisprudenza sul momento consumativo del disastro, accogliendo le diverse tesi sostenute nei giudizi di merito dal Tribunale e dalla Corte d'Appello di Torino. E' questa, nella sostanza, la novità da segnalare: una novità che verosimilmente porterà i rappresentanti della pubblica accusa a modificare, dove possibile, le contestazioni di disastro (doloso o colposo), a favore della contestazione (sola o congiunta) dei singoli eventi di morte o lesioni personali (nell'ambito della stessa vicenda Eternit, d'altra parte, si è avuto notizia nei giorni scorsi di nuove contestazioni per 256 omicidi)[2].
3.2. Una seconda riflessione è correlata alla prima: l'epilogo della vicenda Eternit mostra quanto - de jure condito - sia irta di difficoltà la strada che porta a inquadrare la dispersione di polveri di amianto nella fattispecie del disastro(doloso o colposo che sia). E' infatti difficile individuare il momento consumativo di un simile disastro - che pacificamente, nella struttura di una fattispecie di evcento, segna il momento consumativo del reato - perché già a livello normativo - a causa dell'imprecisione della legge penale - non sono chiari i confini del disastro innominato, cioè dell'accadimento che pone in pericolo la pubblica incolumità.
E' noto come la Corte costituzionale, con la sentenza n. 327 del 2008, abbia fornito attraverso una sentenza interpretativa di rigetto la sola interpretazione dell'espressione "altro disastro" (art. 434 c.p.) conforme al principio di precisione (o determinatezza) della legge penale (art. 25, comma 2 Cost.). Il disastro innominato, secondo l'interpretazione conforme a Costituzione, scolpita nella citata pronuncia della Corte costituzionale, deve essere concepito come speciesdel genus disastro, delineato dalle figure delittuose comprese nel capo I del titolo VI del codice penale: si tratta di "un accadimento sì diverso, ma comunqueomogeneo, sul piano delle caratteristiche strutturali, rispetto ai disastri" contemplati nelle suddette figure di reato. Dal contesto dei delitti contro l'incolumità pubblica, e in particolare dall'analisi delle caratteristiche delle diverse figure delittuose collocate nel titolo VI del codice penale, emergerebbe dunque una nozione unitaria di disastro, che si caratterizzerebbe per un duplice concorrente profilo: "da un lato, sul piano dimensionale, si deve essere al cospetto diun evento distruttivo di proporzioni straordinarie, anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi. Dall'altro lato, sul piano della proiezione offensiva, l'evento deve provocare - in accordo con l'oggettività giuridica delle fattispecie in questione (la 'pubblica incolumità') - un pericolo per la vita o per l'integrità fisica di un numero indeterminato di persone; senza che peraltro sia richiesta l'effettiva verificazione della morte o delle lesioni di uno o più soggetti".
Alla luce di una siffatta nozione, il reato di disastro innominato si realizza se, e nel momento in cui, in conseguenza di una condotta (dolosa o colposa) si produce un evento che possiede i menzionati tratti distintivi (dimensionale e offensivo). Senonché, con riferimento alla dispersione nell'ambiente di polveri di amianto o di sostanze tossiche e inquinanti, correlata a processi produttivi protrattisi per un lungo arco temporale, la riconducibilità alla nozione di 'disastro', come sopra delineata, è ancor più problematica. La Corte, che si è pronunciata in un giudizio incidentale relativo a un caso di 'disastro ambientale', ha sottolineato la necessità di ricostruire il 'disastro innominato' come species del genusricavabile dalle figure 'nominate', alle quali deve risultare omogeneo. E proprio con riguardo al 'disastro ambientale', talora ricondotto "con soluzioni interpretative non sempre scevre da profili problematici al paradigma punitivo del disastro innominato", la Corte stessa ha auspicato un intervento del legislatore, volto a introdurre "specifiche figure criminose" a tutela della salute e dell'integrità fisica, come quella oggi all'esame del Parlamento, e di cui si è detto. Proprio in considerazione del monito rivolto dalla Corte al legislatore è quantomeno problematico ricondurre al tipo legale del 'disastro innominato' la dispersione nell'ambiente di polveri di amianto o di sostanze tossiche o inquinanti, realizzata in un lungo arco temporale nell'ambito dell'attività d'impresa.
E' vero - e lo conferma la sentenza della Cassazione nella vicenda Eternit - che il c.d. diritto vivente è consolidato nel ritenere configurabile il disastro innominato,sub specie di disastro ambientale, a fronte di gravi fatti d'inquinamento ambientale connessi all'attività d'impresa, comportanti l'insorgere di malattie professionali e/o la morte di numerose persone. Senonché - come la dottrina non ha mancato di osservare[3] - nel 'disastro' che si assume realizzato dalla dispersione nell'ambiente di sostanze tossiche e nocive per la salute assumono profili meno definiti almeno due requisiti strutturali che caratterizzano i disastri nominati:
a) una causa violenta che inneschi il verificarsi dell'evento, da ravvisarsi in una condotta violenta, comportante cioè impiego di energia fisica (non si dimentichi l'intitolazione del capo I, titolo VI del codice penale: "delitti di comune pericolo mediante violenza");
b) un accadimento naturalistico a carattere istantaneo, o comunque con un inizioe una fine determinati, il cui manifestarsi - come nel caso dell'incendio, della frana, della valanga, dell'inondazione, ecc. - fa immediatamente sorgere il pericolo per l'incolumità pubblica.
3.2.1. Ammesso dunque che sia possibile individuare una condotta violenta quale causa della dispersione delle polveri di amianto nell'ambito dell'attività d'impresa, occorre comunque identificare - il che ha primario rilievo nella prospettiva deltempus commissi delicti - un evento, originato da quella condotta, che abbia ilcarattere subitaneo proprio dei disastri nominati, che complessivamente considerati delineano la figura generale del 'disastro'.
In linea teorica, una soluzione rispettosa del canone della legalità/precisione della legge penale è quella di riscostruire il disastro innominato come evento di natura istantanea e, pertanto, omogeneo rispetto al genus desumibile dalle figure di disastro nominato. Al di là delle difficoltà di ordine probatorio, ci sembra infatti in via di principio individuabile unmomento nel quale la concentrazione di polvere di amianto in un determinato ambiente assume dimensioni tali da esporre a pericolo la pubblica incolumità: in quel momento si realizza un disastro; si innesca una fonte di pericolo per la vita e l'integrità fisica di un numero indeterminato di persone, realizzando il tipo di fatto penalmente rilevante. Il momento iniziale e finale dell'evento è proprio quello dell'innesco della fonte di pericolo, che in ipotesi di attività produttiva cessata non può che essere anteriore alla data di cessazione dell'attività stessa.
E' chiaro, d'altra parte, che una simile ricostruzione, sostenuta e anzi forse imposta da un'interpretazione conforme a Costituzione, condanna a morte i processi per esposizione a sostanze tossiche relativi, come nel caso di Eternit, ad attività industriali cessate da decenni.
3.2.2. Una diversa tesi, seguita dalla giurisprudenza, mette tra parentesi le indicazioni della Corte costituzionale e configura il disastro da polveri da amianto prescindendo dall'individuazione di un evento a carattere subitaneo. Il disastro, così configurato, avrebbe natura di reato permanente - una natura eterogenea rispetto ai disastri nominati - e il termine prescrizionale decorrerebbe, ai sensi dell'art. 158 c.p., dal giorno in cui è cessata la permanenza.
Le soluzioni variano, a questo punto, a seconda di cosa si intenda per 'cessazione della permanenza' e, ancor prima, per 'disastro permanente'.
a) Secondo una prima impostazione - accolta ad esempio nella citata vicenda Sacelit dal G.U.P. di Barcellona Pozzo (clicca qui per il testo della sentenza, datata 11 marzo 2013) - nell'ipotesi di dispersione nell'ambiente di sostanze tossiche il disastro può dirsi permanente a condizione che l'evento-disastro perduri nel tempo per effetto di una persistente condotta del reo. Si tratta - corretta o meno che sia - di un'impostazione fedele alla tradizionale e più generale nozione di reato permanente, accolta dalla dottrina[4] e dalla giurisprudenza, della Corte di Cassazione[5] e della Corte costituzionale[6]. Ciò che caratterizza il reato permanente è, infatti, la volontaria e ininterrotta protrazione della condotta tipica oltre il momento di perfezione del reato, cui corrisponde la protrazione dello stato antigiuridico creato dall'agente e, con esso, dell'offesa al bene giuridico tutelato, sul presupposto che questo possa essere solo compresso e non distrutto. Chi ha realizzato un sequestro di persona, tradizionale figura di reato permanente, continua a violare la fattispecie di cui all'art. 605 c.p., e a realizzare il fatto tipico della privazione della libertà personale del sequestrato, fintanto che la condotta volontaria stessa non cessi. Ciò che permane nel reato permanente è, allora, la fase di consumazione, in corrispondenza - questo è il punto - di una permanenza della condotta tipica, la cui cessazione segna l'esaurimento della fase di consumazione del reato e, quindi, della permanenza stessa. A tale caratteristica realizzazione del fatto tipico l'ordinamento collega effetti giuridici diversi, tutti comunque ispirati all'idea per cui la permanenza della condotta tipica e dell'offesa devono ricevere adeguato trattamento, diverso da quello previsto per l'ipotesi di istantaneità della condotta stessa e dell'offesa. Così, l'art. 382 comma 2 c.p.p. dispone che nel reato permanente lo stato di flagranza dura fino a quando non è cessata la permanenza, e l'art. 158 c.p. prevede che, per il reato permanente, il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la permanenza. Ancora, la permanenza della fase di consumazione fa sì che "legge del tempo in cui fu commesso il reato", a norma dell'art. 2 c.p., possa essere considerata, senza violazione del principio di irretroattività, quella più sfavorevole sopravvenuta nel corso della permanenza, come pacificamente si ammette, anche da parte della giurisprudenza[7]. Conseguenze giuridiche di un tale rilievo possono giustificarsi, si badi bene, solo alla luce della sopra esposta caratteristica volontaria protrazione della condotta tipica e dell'offesa, propria del reato suscettibile di permanenza.
Aderendo a questa impostazione, la citata sentenza del G.U.P. di Barcellona Pozzo di Gotto, nel dichiarare l'intervenuta prescrizione del reato, ha affermato che "la cessazione della condotta lesiva per fatto volontario del reo (1975) [nd.r.: data della cessata inosservanza delle contestate regole cautelari] oppure comunque per fatto a lui esterno che ne ha reso impossibile la perpetrazione (1993) [n.d.r.: anno della chiusura dello stabilimento Sacelit], segna il momento consumativo del delitto (permanente) di disastro innominato colposo".
E' chiaro che anche questa impostazione, in relazione ai casi di attività industriali cessate da decenni, vanifica per lo più gli sforzi tesi a inquadrare i fatti di esposizione a sostanze tossiche nella figura del disastro.
b) Secondo una diversa impostazione, accolta dal Tribunale di Torino nel giudizio di primo grado relativo al caso Eternit, il protrarsi dell'evento-disastro allungherebbe il periodo di consumazione del reato[8], nel senso che questo sarebbe permanente finché dura l'esposizione a pericolo della pubblica incolumità. In applicazione di questo principio di diritto il Tribunale ha affermato la permanenza del reato di disastro innominato doloso (escludendone la prescrizione) con riferimento ai soli fatti - relativi agli stabilimenti di Casale Monferrato e Cavagnolo - che hanno comportato la dispersione di polveri di amianto nell'ambiente esterno (in ragione della prassi dell'utilizzo dei residui di produzione per la costruzione di strade e abitazioni), con conseguente - ancora perdurante - esposizione della popolazione. Viceversa, il Tribunale di Torino ha ritenuto cessato il pericolo per la pubblica incolumità - e con esso la permanenza del suddetto reato, dichiarato prescritto - con riferimento ai fatti (relativi agli stabilimenti di Bagnoli e Rubiera) per i quali l'inquinamento era essenzialmente legato all'attività lavorativa, sicché, cessata questa, "è cessata quella situazione di forte e grave pericolo per l'incolumità pubblica e la salute che caratterizza il disastro"[9].
Senonché, la tesi che fa dipendere la permanenza del disastro dal perdurare del pericolo per la pubblica incolumità - essa sì funzionale a escludere la prescrizione del reato - non persuade perché confonde la permanenza degli effetti del reato con la permanenza del reato e, ancor prima, sul piano teorico-sistematico, l'offesa al bene giuridico (il pericolo per la pubblica incolumità: c.d. evento giuridico) con l'evento (il disastro, c.d. evento naturalistico)[10].
c) Secondo una tesi ancora diversa, sostenuta dalla Corte d'Appello di Torino nel caso Eternit, il disastro innominato sarebbe un reato a consumazione prolungata, che si consumerebbe con la cessazione del fenomeno epidemico (inteso come eccesso numerico delle morti e delle malattie professionali nell'area interessata, che rappresenterebbe l'evento disastroso)[11]. Avendo nel caso di specie rilevato la mancata cessazione del fenomeno epidemico in tutte le aree interessate dalla vicenda Eternit - comprese quelle nelle quali l'inquinamento è risultato limitato agli ambienti di lavoro (Bagnoli e Rubiera) - la Corte d'Appello di Torino ha riformato la sentenza di primo grado e affermato in ogni caso la permanenza del reato, escludendone l'intervenuta prescrizione. Questa tesi - anch'essa funzionale a escludere la prescrizione, ma evidentemente non accolta dalla Cassazione - confonde a nostro avviso l'evento costitutivo del disastro (il pericolo per la pubblica incolumità) con gli eventi dei delitti di lesioni (la malattia) e di omicidio colposo (la morte). Valgono perciò le considerazioni critiche che ci accingiamo a svolgere appresso (anche volendo prescindere dalla circostanza che nell'ipotesi di esposizione ad amianto il momento di cessazione del pericolo è antecedente a quello di cessazione del fenomeno epidemico, stante, il notorio periodo di latenza che caratterizza le malattie derivanti da tale esposizione).
d) Un'ultima tesi, infine, è del tutto funzionale all'obiettivo di escludere la prescrizione perché sgancia la consumazione del disastro dalla condotta, sostenendo la necessità di fare invece riferimento al perdurare dell'evento-disastro, che si realizzerebbe nel momento in cui le persone esposte alle polveri di amianto contraggono una malattia professionale e muoiono. E' però una tesi (sostenuta ad esempio dall'accusa nel citato caso Sacelit) in aperto contrasto con la nozione di disastro generalmente accolta, di recente con l'autorevole avallo della Corte costituzionale (sent. 327/2008), la quale ha sottolineato che un disastro è configurabile "senza che sia richiesta anche l'effettiva verificazione della morte o delle lesioni di uno o più soggetti". Il che significa che gli eventi morte o lesioni, correlati al disastro di cui si tratta, non possono segnare il momento consumativo del reato contro la pubblica incolumità, del quale non sono elementi costitutivi[12]. Se ne ha conferma d'altra parte nella giurisprudenza della Suprema Corte, che ammette il concorso tra il disastro colposo ex art. 449 c.p. e l'omicidio colposo o le lesioni personali colpose, e ciò proprio perché "la morte di una o più persone" (al pari delle lesioni) "non è considerata dalla legge come elemento costitutivo né come circostanza aggravante del reato di disastro, che costituisce un'autonoma figura criminosa"[13]. Il concorso formale di reati si giustifica d'altra parte in ragione del diverso bene giuridico tutelato: l'incolumità pubblica da un lato, la vita (o l'integrità fisica individuale) dall'altro[14].
Anche questa tesi, al pari di quelle considerate sopra sub c) e d), confondel'evento pericoloso (l'evento naturalistico fonte di pericolo) con gli effetticonseguenti alla sua verificazione.
***
Dietro al clamore mediatico della vicenda Eternit vi è dunque un complesso problema giuridico, che come abbiamo cercato di mostrare va oltre alla questione del dies a quo della prescrizione e svela il contrasto tra l'interpretazione costituzionalmente conforme del delitto di disastro innominato, fornita dalla Corte costituzionale nel 2008, e il diritto vivente, che ricorre a quella figura criminosa per sanzionare la causazione di eventi - come la dispersione prolungata nell'ambiente di fibre di amianto - disomogenei rispetto ai disastri nominati. Forte è il sospetto di una violazione del principio della riserva di legge, e dei suoi corollari.
L'auspicio è che proprio il clamore della vicenda Eternit possa contribuire da un lato a spingere gli operatori della giustizia ad una maggiore consapevolezza dei vincoli derivanti dalla fedeltà alla legge e ai principi costituzionali (già in sede di costruzione dei capi d'imputazione) e, dall'altro lato, a suggerire le necessarie riforme, in grado di realizzare un'adeguata prevenzione e repressione dei più gravi fatti di inquinamento ambientale, capaci di devastare la vita di noi tutti.
Richiede diversi minuti di lettura e maggior attenzione.
Se vi fidate, io ho evidenziato le parti più importanti. Leggetele, sono minuti ben spesi.
Se non avete propria voglia di leggerlo, vi riporto qui i paragrafi che secondo me sono i più significativi.
E se non avete voglia neanche di leggero questo, vi chiedo solo di non prestarvi al gioco dei nostri mezzi di informazione, di avere sempre voglia di informarvi e di non accontentarvi di spiegazioni facili ma erronee.
"Non è certo la prima volta che una decisione giudiziaria suscita reazioni, anche forti, in ampi settori dell'opinione pubblica: basti pensare, tra le molte, alla recente sentenza di assoluzione pronunciata dalla Corte d'Appello di Roma nel processo per la morte di Stefano Cucchi, o alla sentenza di assoluzione di Silvio Berlusconi pronunciata dalla Corte d'Appello di Milano nel processo Ruby.
In un paese come il nostro, sempre più dominato dai mezzi di comunicazione di massa e da un'informazione non di rado di qualità scadente, è tuttavia preoccupante la tendenza a trasferire sotto le luci dei riflettori la complessità del diritto e del processo penale (...)."
E' però certo che i giudici che hanno pronunciato quelle sentenze hanno avuto il coraggio di scelte impopolari, che rappresentano un dovere nella misura in cui i giudici stessi si convincano, a ragione o a torto, che a imporle è la legge. Non bisogna dimenticare, neanche davanti al dramma delle morti da amianto, che nel diritto penale la fedeltà alla legge non ha prezzo: da essa dipende la garanzia della libertà di ciascuno. Il diritto non può essere piegato alla giustizia sostanziale, perché ciò che è o sembra giusto oggi, può non esserlo domani, e non è comunque afferrabile con certezza, come deve esserlo il diritto. Sta al legislatore far coincidere diritto e giustizia; e sta anche al giudice farlo, ma solo nel limite in cui ciò non significhi operare contra o praeter legem.
Articolo di Gian Luigi Gatta sulla Rivista Diritto Penale Contemporaneo.
http://www.penalecontemporaneo.it/area/1-/-/-/3466-il_diritto_e_la_giustizia_penale_davanti_al_dramma_dell___amianto__riflettendo_sull_epilogo_del_caso_eternit/
Con un'attesa decisione della Corte di cassazione, giunta giovedì scorso (18 novembre 2014), è calato il sipario sul processo Eternit, travolto sulla linea del traguardo dalla declaratoria di prescrizione del reato di disastro doloso (art. 434 c.p.), oggetto di contestazione. Per quel reato, come è noto, nel giugno del 2013 laCorte d'Appello di Torino aveva condannato a diciotto anni di reclusione Stephan Schmidheiny, amministratore (tra il 1974 e il 1986) di Eternit S.p.A., che già ilTribunale di Torino aveva ritenuto responsabile di un disastro ambientale dal quale sono conseguite malattie professionali e morti per asbestosi o tumore polmonare di migliaia di persone, a lungo esposte a polveri di amianto negli ambienti di lavoro e in quelli circostanti: a Casale Monferrato (AL), a Cavagnolo (TO), a Rubiera (RE), e a Napoli (Bagnoli).
La decisione della Cassazione ha suscitato molto clamore, e ha occupato le prime pagine dei media. Non poteva che essere così: in un colpo quella decisione ha fatto esplodere come una bolla di sapone - anche agli effetti civili - il più importante processo penale celebrato nel nostro Paese per morti e malattie amianto-correlate; un processo gravato dal peso del dolore di migliaia di persone, che dopo due condanne nei giudizi di merito hanno inaspettatamente visto sfumare al fotofinish l'esito atteso. Ed è un dolore ancor più acuto perché i tempi di latenza del terribile e incurabile male (il mesotelioma pleurico) fanno sì che ancora oggi a morte si assommi morte, impedendo al trascorrere del tempo di rimarginare ferite che resteranno indelebili, per chi le ha subite.
L'opinione pubblica si è per lo più indignata per la decisione della Cassazione, certamente impopolare. E la politica, sempre più incline alla raccolta del facile consenso, si è per lo più associata all'indignazione e allo sconcerto per tante morti rimaste senza condanna, preannunciando subito una riforma dell'istituto della prescrizione del reato. Tutto questo - ça va sans dire - senza l'ombra di alcuna autocritica per non aver riformato prima un quadro normativo che, a torto o a ragione, ha consentito ai giudici della Cassazione di dichiarare la prescrizione del reato.
Al giurista compete naturalmente valutare la decisione e la vicenda che ne è seguita sulla base dei principi e delle norme che reggono il sistema. E' evidente che una simile valutazione non può prescindere dalle motivazioni della sentenza, che allo stato non si conoscono. Alcune riflessioni a margine della vicenda sono però possibili sin d'ora, a caldo.
2. Anticiperò subito alcune riflessioni suscitate dall'epilogo della vicenda Eternit, al netto della sua rappresentazione mediatica. Dedicherò poi alcune considerazioni al problema tecnico-giuridico - centrale ai fini dell'individuazione del dies a quo del termine di prescrizione del reato - relativo all'individuazione delmomento consumativo del disastro in ipotesi di dispersione di polveri di amianto.
2.1. Credibilità della giustizia penale. - La vicenda Eternit segna indubbiamenteuna frattura tra la giustizia pubblica, amministrata in nome del popolo, e la sete di giustizia delle vittime dell'amianto e dei loro familiari, rimasta inappagata. Una sentenza della Suprema Corte che in nome del popolo italiano dichiara prescritto il reato contestato a chi, nei due precedenti gradi del giudizio, è stato invece ritenuto responsabile di fatti gravissimi, che hanno comportato la morte di migliaia di persone e altrettante malattie incurabili, ha inevitabilmente nella percezione sociale il sapore dell'ingiustizia. Può ben darsi - ed è questa la mia personale impressione - che vi siano forti ragioni per argomentare la correttezza, in punto di diritto, della decisione della Suprema Corte. Ed è fuor di dubbio, in un diritto penale retto dai principi di legalità dei reati e delle pene, che la sete di giustizia dei cittadini non deve essere soddisfatta sempre e comunque, facendola prevalere sulla forma.
Se ciò è vero, è anche vero che non è affatto facile assicurare credibilità al sistema evitando il disorientamento dell'opinione pubblica di fronte a una sentenza pronunciata da giudici di legittimità - fisiologicamente lontani dalle vittime e dai fatti -, che pone nel nulla due condanne consecutive pur sempre pronunciate in nome del popolo italiano nei giudizi di merito, da parte di giudici invece immersi nei fatti e vicini allo sguardo delle vittime e dei loro familiari. Quando nell'ultimo grado del giudizio si afferma la prescrizione del reato, decorsa già all'epoca dell'avvio del procedimento penale, si certifica in sostanza l'inutilità del procedimento stesso. Delle due l'una: o la declaratoria di prescrizione del reato da parte dei giudici della Cassazione non è giuridicamente corretta, oppure è stata infelice la scelta, da parte della Procura di Torino, di contestare ai responsabili di Eternit un reato già prescritto. In ogni caso, agli occhi dell'opinione pubblica e delle vittime l'apparato giudiziario ha prodotto una in-giustizia.
2.2. Fedeltà alle legge e decisioni impopolari. - La decisione della Cassazione, come si diceva, ha avuto larghissima eco su tutti i principali mezzi di informazione. Le cronache e i commenti, pur diversi tra loro, hanno per lo più veicolato il messaggio dell'indignazione per l'impunità di migliaia di morti da amianto. Voci fortemente critiche si sono levate da più parti (opinionisti, politici, sindacalisti, e così via). Non sono mancate prese di posizione da parte di esponenti delle istituzioni e di autorevoli magistrati.
Non è certo la prima volta che una decisione giudiziaria suscita reazioni, anche forti, in ampi settori dell'opinione pubblica: basti pensare, tra le molte, alla recente sentenza di assoluzione pronunciata dalla Corte d'Appello di Roma nel processo per la morte di Stefano Cucchi, o alla sentenza di assoluzione di Silvio Berlusconi pronunciata dalla Corte d'Appello di Milano nel processo Ruby. In un paese come il nostro, sempre più dominato dai mezzi di comunicazione di massa e da un'informazione non di rado di qualità scadente, è tuttavia preoccupante la tendenza a trasferire sotto le luci dei riflettori la complessità del diritto e del processo penale. Si tratta infatti di materie che mal si prestano alla semplificazione mediatica e sulle quali tuttavia, come ha ben detto Winfried Hassemer[1], tutti ritengono di poter dire la loro (un po' come nel calcio), nonostante pochi ne abbiano in realtà una conoscenza anche solo elementare (se non altro perché il diritto e la procedura penale sono estranei ai programmi di insegnamento delle scuole primarie e secondarie).
Quando la critica delle sentenze si trasforma in pressione mediatica sui magistrati, il rischio è di metterne a repentaglio l'autonomia e la soggezione "soltanto" alla legge, che è poi un fondamentale principio costituzionale (art. 101, co. 2 Cost.). Può ben darsi che la sentenza della Cassazione sul caso Eternit non sia corretta (il diritto non è una scienza esatta, e l'infallibilità non appartiene al genere umano); come può ben darsi che non lo siano quelle della Corte d'Appello di Roma sul caso Cucchi, e quella della Corte d'Appello di Milano sul caso Ruby. E' però certo che i giudici che hanno pronunciato quelle sentenze hanno avuto il coraggio di scelte impopolari, che rappresentano un dovere nella misura in cui i giudici stessi si convincano, a ragione o a torto, che a imporle è la legge. Non bisogna dimenticare, neanche davanti al dramma delle morti da amianto, che nel diritto penale la fedeltà alla legge non ha prezzo: da essa dipende la garanzia della libertà di ciascuno. Il diritto non può essere piegato alla giustizia sostanziale, perché ciò che è o sembra giusto oggi, può non esserlo domani, e non è comunque afferrabile con certezza, come deve esserlo il diritto. Sta al legislatore far coincidere diritto e giustizia; e sta anche al giudice farlo, ma solo nel limite in cui ciò non significhi operare contra o praeter legem (in tema segnalo un recentissimo intervento del prof. Glauco Giostra, pubblicato ieri nell'inserto domenicale del Corriere della Sera). Per questo condividiamo le parole con le quali il Procuratore Generale Iacoviello ha concluso la requisitoria davanti alla Cassazione, nel processo Eternit: "ci sono dei momenti in cui diritto e giustizia vanno da parti opposte; è naturale che le parti offese scelgano la strada della giustizia, ma quando il giudice è posto di fronte alla scelta drammatica tra diritto e giustizia non ha alternativa. Un giudice sottoposto alla legge tra diritto e giustizia deve scegliere il diritto". E' una fondamentale garanzia messa a rischio in occasione di pressioni mediatiche intense come quelle registrate in questi giorni a margine del caso Eternit; pressioni che certo saranno avvertite dai magistrati che, nelle diverse sedi giudiziarie, si stanno occupando e si occuperanno di casi analoghi, più o meno noti.
E' vero, come hanno ricordato a commento della vicenda autorevoli magistrati e giuristi come Vladimiro Zagrebelsky (su La Stampa) e Gian Carlo Caselli (a Radio 24), che è imperitura la massima 'summum ius, summa iniuria', e che - lo ha sostenuto anche il prof. Carlo Federico Grosso (su La Stampa) - ragioni di giustizia sostanziale avrebbero potuto spingere la Corte di Cassazione a un'interpretazione diversa sul momento consumativo del disastro (ad es., proprio quella fatta propria dalla Corte d'Appello di Torino), evitando la prescrizione del reato; analogamente si è espresso anche Alberto Oggè (su La Stampa), già Presidente del collegio della Corte d'Appello nel giudizio di secondo grado conclusosi con la sentenza di condanna annullata dalla Cassazione. E' però anche vero quanto ha osservato la pur autorevole voce di Cesare Mirabelli (su Il Messaggero e Il Mattino), Presidente emerito della Corte costituzionale: "si può comprendere che sconcerti una così differente valutazione nei diversi gradi di giudizio. Come pure si può comprendere la delusione dei familiari di chi ha perso la vita per le infermità provocate dall'amianto ed il loro legittimo desiderio che se ne accertino le responsabilità.Non si possono invece condividere le manifestazioni dirette ad esercitare una qualche pressione sui giudici, reclamando la soddisfazione di una pretesa 'giustizia sostanziale' che forzi le regole del sistema penale e le garanzie del processo". E ciò è ancor più vero - ci permettiamo di aggiungere - se si considera che esisteva (e forse esiste ancora) una strada diversa, lungo la quale corre la possibilità di conciliare la giustizia formale con quella sostanziale, evitando le strettoie della prescrizione del reato: la contestazione da parte della pubblica accusa dei delitti di lesioni personali e di omicidio.
2.3. Un equivoco da sfatare: l'epilogo del processo Eternit non dipende dalla disciplina della prescrizione del reato, ma dal momento consumativo del contestato disastro. - All'indomani della sentenza della Cassazione autorevoli esponenti delle istituzioni e della politica hanno puntato il dito sulla disciplina dell'istituto della prescrizione del reato, preannunciandone la riforma. Senonché, come ha subito notato un attento osservatore come Luigi Ferrarella (su Il Corriere della Sera), non si deve "illudere la gente che la prescrizione sia dipesa dalla lentezza della giustizia (tre gradi di giudizio in appena 4 anni?) o dai guasti della per molto altro nefanda legge ex Cirielli". Sia chiaro: ben venga una riforma della prescrizione, che il Governo aveva peraltro annunciato già nell'agosto di quest'anno, e che la dottrina invoca da dieci anni (tanto è passato, ormai, dalla citata riforma del 2005, che come tutti sanno ha generalmente ridotto i termini di prescrizione dei reati più gravi, falcidiando un enorme numero di procedimenti penali). E' però ben difficile che un novellato assetto della prescrizione del reato - compreso un eventuale raddoppio dei termini per il disastro doloso, come già l'art. 157, co. 5 c.p. stabilisce per il disastro colposo -possa mettere al sicuro le sorti dei procedimenti per morti da malattie amianto-correlate, che normalmente si verificano a distanza di decenni dalla cessazione delle attività produttive implicanti la dispersione delle polveri di amianto, e talora anche dalla intervenuta opera di bonifica dei siti inquinati (in senso analogo, nel commentare la vicenda Eternit, si è espresso anche il prof. Mauro Catenacci su Il Messaggero). Come dimostra la vicenda Eternit - al giurista è ben chiaro; non anche, purtroppo, all'opinione pubblica - la prescrizione dipende in quei procedimenti dal momento consumativo del reato oggetto di contestazione. Se si contestano l'omicidio o le lesioni personali, nulla quaestio: i tragici eventi, purtroppo ancora attuali, segneranno il dies a quo del termine prescrizionale, sicché l'ultima morte o malattia professionale terrà in piedi il processo, evitandone la prescrizione. Se però, come nel caso di Eternit, si contesta il disastro (il macro-evento che ha messo in pericolo la vita e l'incolumità fisica di un numero indeterminato di persone, poi effettivamente colpite da malattia e morte per patologie correlate all'esposizione all'amianto) quel termine sarà verosimilmente decorso - quale che sia il futuro assetto della disciplina della prescrizione del reato - nella misura in cui si affermi il principio, evidentemente seguito dalla Cassazione, secondo cui il disastro si consuma con la cessazione della condotta (venti, trenta o quaranta anni fa), e non finché si producono gli effetti (malattie/morti).
E' chiaro che la politica cerca oggi di sfruttare l'occasione della sentenza Eternit per vincere le difficoltà (interne alla politica stessa) a riformare l'istituto della prescrizione del reato (uno dei temi più scottanti tra quelli all'ordine del giorno nell'ambito della riforma della giustizia penale). Sarebbe però un errore concentrare le attenzioni su quel solo versante, dimenticando che è attualmente all'esame del Senato un disegno di legge (S. 1345, Realacci e altri: "Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente") già approvato dalla Camera nel febbraio del 2014, che per la prima volta introduce in un nuovo art. 452 ter del codice penale un delitto di disastro ambientale, ad oggi figura di creazione giurisprudenziale ricondotta al c.d. disastro innominato previsto dall'art. 434 c.p. (la cui versione, come tutti sanno, risale al 1930). La nuova incriminazione (che non brilla per precisione e sufficiente tipizzazione del fatto incriminato) è accompagnata da una definizione legale del concetto di disastro, comprensiva della "offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza oggettiva del fatto per l'estensione della compromissione ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo". Quale migliore occasione per riflettere su come implementare la prevenzione e la repressione dei fenomeni di più grave inquinamento da sostanze tossiche?
3. Come si diceva, il vero nodo problematico al quale è legata la ghigliottina della prescrizione caduta sul processo Eternit è rappresentato dal momento consumativo del contestato delitto di disastro innominato. A quanto pare - stando a un comunicato stampa della S.C., riportato dai quotidiani all'indomani della sentenza - la Cassazione avrebbe fissato il dies a quo del termine di prescrizione del reato nel 1986, data della chiusura degli stabilimenti Eternit.
Solo dalla motivazione della sentenza sapremo se ciò dipende dalla qualificazione della fattispecie di cui all'art. 434, co. 2 c.p. come circostanza aggravante, piuttosto che dalla configurazione del disastro come reato (eventualmente) permanente, nel quale la permanenza del reato cessa al cessare della condotta (l'attività industriale), ovvero da altro ancora.
Nell'attesa delle motivazioni possiamo solo limitarci a qualche breve riflessione, utile anche in considerazione del fatto che il problema ha portata generale: coinvolge, oggi più che mai, tutti i procedimenti per morti o malattie legate all'amianto o ad altre sostanze tossiche, nei quali siano stati contestati i delitti di disastro innominato doloso (art. 434 c.p., come nei noti casi Ilva e Tirreno Power) o colposo (artt. 434, 449 c.p.).
3.1. Una prima riflessione è improntata a sano realismo: la tesi accolta dalla Cassazione fa evidentemente cadere una mannaia sulla strategia processuale dell'accusa, che nel processo Eternit, al pari di altri processi più o meno noti e relativi a vicende analoghe, ha scelto di contestare ai responsabili delle attività industriali correlate all'amianto non già (anche o solo) i singoli omicidi/lesioni personali, bensì (solo) un macro-evento di disastro. E' una scelta che semplifica l'onere probatorio: l'accusa non deve infatti dimostrare in relazione ai singoli eventi il nesso di causalità con l'esposizione alle fibre di amianto. E' però una strategia processuale ad alto rischio suicida, come conferma la sentenza Eternit della Cassazione, non priva peraltro di precedenti, anche recentissimi, nella giurisprudenza di legittimità (mi riferisco alla sentenza Sacelit, depositata a maggio di quest'anno - clicca qui per il testo - con la quale, dopo aver anche in quel caso fissato il momento consumativo del reato in quello della cessazione dell'attività industriale, è stato dichiarato prescritto il disastro colposo da dispersione nell'ambiente di polveri di amianto). Se si dovesse consolidare il principio della cessazione dell'attività industriale come momento consumativo del reato, la gran parte dei processi in corso per malattie professionali correlate ad attività industriali cessate da oltre un decennio è destinata allo stesso epilogo di Eternit. E lo è perché la Cassazione non ha stravolto la propria giurisprudenza sul momento consumativo del disastro, accogliendo le diverse tesi sostenute nei giudizi di merito dal Tribunale e dalla Corte d'Appello di Torino. E' questa, nella sostanza, la novità da segnalare: una novità che verosimilmente porterà i rappresentanti della pubblica accusa a modificare, dove possibile, le contestazioni di disastro (doloso o colposo), a favore della contestazione (sola o congiunta) dei singoli eventi di morte o lesioni personali (nell'ambito della stessa vicenda Eternit, d'altra parte, si è avuto notizia nei giorni scorsi di nuove contestazioni per 256 omicidi)[2].
3.2. Una seconda riflessione è correlata alla prima: l'epilogo della vicenda Eternit mostra quanto - de jure condito - sia irta di difficoltà la strada che porta a inquadrare la dispersione di polveri di amianto nella fattispecie del disastro(doloso o colposo che sia). E' infatti difficile individuare il momento consumativo di un simile disastro - che pacificamente, nella struttura di una fattispecie di evcento, segna il momento consumativo del reato - perché già a livello normativo - a causa dell'imprecisione della legge penale - non sono chiari i confini del disastro innominato, cioè dell'accadimento che pone in pericolo la pubblica incolumità.
E' noto come la Corte costituzionale, con la sentenza n. 327 del 2008, abbia fornito attraverso una sentenza interpretativa di rigetto la sola interpretazione dell'espressione "altro disastro" (art. 434 c.p.) conforme al principio di precisione (o determinatezza) della legge penale (art. 25, comma 2 Cost.). Il disastro innominato, secondo l'interpretazione conforme a Costituzione, scolpita nella citata pronuncia della Corte costituzionale, deve essere concepito come speciesdel genus disastro, delineato dalle figure delittuose comprese nel capo I del titolo VI del codice penale: si tratta di "un accadimento sì diverso, ma comunqueomogeneo, sul piano delle caratteristiche strutturali, rispetto ai disastri" contemplati nelle suddette figure di reato. Dal contesto dei delitti contro l'incolumità pubblica, e in particolare dall'analisi delle caratteristiche delle diverse figure delittuose collocate nel titolo VI del codice penale, emergerebbe dunque una nozione unitaria di disastro, che si caratterizzerebbe per un duplice concorrente profilo: "da un lato, sul piano dimensionale, si deve essere al cospetto diun evento distruttivo di proporzioni straordinarie, anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi. Dall'altro lato, sul piano della proiezione offensiva, l'evento deve provocare - in accordo con l'oggettività giuridica delle fattispecie in questione (la 'pubblica incolumità') - un pericolo per la vita o per l'integrità fisica di un numero indeterminato di persone; senza che peraltro sia richiesta l'effettiva verificazione della morte o delle lesioni di uno o più soggetti".
Alla luce di una siffatta nozione, il reato di disastro innominato si realizza se, e nel momento in cui, in conseguenza di una condotta (dolosa o colposa) si produce un evento che possiede i menzionati tratti distintivi (dimensionale e offensivo). Senonché, con riferimento alla dispersione nell'ambiente di polveri di amianto o di sostanze tossiche e inquinanti, correlata a processi produttivi protrattisi per un lungo arco temporale, la riconducibilità alla nozione di 'disastro', come sopra delineata, è ancor più problematica. La Corte, che si è pronunciata in un giudizio incidentale relativo a un caso di 'disastro ambientale', ha sottolineato la necessità di ricostruire il 'disastro innominato' come species del genusricavabile dalle figure 'nominate', alle quali deve risultare omogeneo. E proprio con riguardo al 'disastro ambientale', talora ricondotto "con soluzioni interpretative non sempre scevre da profili problematici al paradigma punitivo del disastro innominato", la Corte stessa ha auspicato un intervento del legislatore, volto a introdurre "specifiche figure criminose" a tutela della salute e dell'integrità fisica, come quella oggi all'esame del Parlamento, e di cui si è detto. Proprio in considerazione del monito rivolto dalla Corte al legislatore è quantomeno problematico ricondurre al tipo legale del 'disastro innominato' la dispersione nell'ambiente di polveri di amianto o di sostanze tossiche o inquinanti, realizzata in un lungo arco temporale nell'ambito dell'attività d'impresa.
E' vero - e lo conferma la sentenza della Cassazione nella vicenda Eternit - che il c.d. diritto vivente è consolidato nel ritenere configurabile il disastro innominato,sub specie di disastro ambientale, a fronte di gravi fatti d'inquinamento ambientale connessi all'attività d'impresa, comportanti l'insorgere di malattie professionali e/o la morte di numerose persone. Senonché - come la dottrina non ha mancato di osservare[3] - nel 'disastro' che si assume realizzato dalla dispersione nell'ambiente di sostanze tossiche e nocive per la salute assumono profili meno definiti almeno due requisiti strutturali che caratterizzano i disastri nominati:
a) una causa violenta che inneschi il verificarsi dell'evento, da ravvisarsi in una condotta violenta, comportante cioè impiego di energia fisica (non si dimentichi l'intitolazione del capo I, titolo VI del codice penale: "delitti di comune pericolo mediante violenza");
b) un accadimento naturalistico a carattere istantaneo, o comunque con un inizioe una fine determinati, il cui manifestarsi - come nel caso dell'incendio, della frana, della valanga, dell'inondazione, ecc. - fa immediatamente sorgere il pericolo per l'incolumità pubblica.
3.2.1. Ammesso dunque che sia possibile individuare una condotta violenta quale causa della dispersione delle polveri di amianto nell'ambito dell'attività d'impresa, occorre comunque identificare - il che ha primario rilievo nella prospettiva deltempus commissi delicti - un evento, originato da quella condotta, che abbia ilcarattere subitaneo proprio dei disastri nominati, che complessivamente considerati delineano la figura generale del 'disastro'.
In linea teorica, una soluzione rispettosa del canone della legalità/precisione della legge penale è quella di riscostruire il disastro innominato come evento di natura istantanea e, pertanto, omogeneo rispetto al genus desumibile dalle figure di disastro nominato. Al di là delle difficoltà di ordine probatorio, ci sembra infatti in via di principio individuabile unmomento nel quale la concentrazione di polvere di amianto in un determinato ambiente assume dimensioni tali da esporre a pericolo la pubblica incolumità: in quel momento si realizza un disastro; si innesca una fonte di pericolo per la vita e l'integrità fisica di un numero indeterminato di persone, realizzando il tipo di fatto penalmente rilevante. Il momento iniziale e finale dell'evento è proprio quello dell'innesco della fonte di pericolo, che in ipotesi di attività produttiva cessata non può che essere anteriore alla data di cessazione dell'attività stessa.
E' chiaro, d'altra parte, che una simile ricostruzione, sostenuta e anzi forse imposta da un'interpretazione conforme a Costituzione, condanna a morte i processi per esposizione a sostanze tossiche relativi, come nel caso di Eternit, ad attività industriali cessate da decenni.
3.2.2. Una diversa tesi, seguita dalla giurisprudenza, mette tra parentesi le indicazioni della Corte costituzionale e configura il disastro da polveri da amianto prescindendo dall'individuazione di un evento a carattere subitaneo. Il disastro, così configurato, avrebbe natura di reato permanente - una natura eterogenea rispetto ai disastri nominati - e il termine prescrizionale decorrerebbe, ai sensi dell'art. 158 c.p., dal giorno in cui è cessata la permanenza.
Le soluzioni variano, a questo punto, a seconda di cosa si intenda per 'cessazione della permanenza' e, ancor prima, per 'disastro permanente'.
a) Secondo una prima impostazione - accolta ad esempio nella citata vicenda Sacelit dal G.U.P. di Barcellona Pozzo (clicca qui per il testo della sentenza, datata 11 marzo 2013) - nell'ipotesi di dispersione nell'ambiente di sostanze tossiche il disastro può dirsi permanente a condizione che l'evento-disastro perduri nel tempo per effetto di una persistente condotta del reo. Si tratta - corretta o meno che sia - di un'impostazione fedele alla tradizionale e più generale nozione di reato permanente, accolta dalla dottrina[4] e dalla giurisprudenza, della Corte di Cassazione[5] e della Corte costituzionale[6]. Ciò che caratterizza il reato permanente è, infatti, la volontaria e ininterrotta protrazione della condotta tipica oltre il momento di perfezione del reato, cui corrisponde la protrazione dello stato antigiuridico creato dall'agente e, con esso, dell'offesa al bene giuridico tutelato, sul presupposto che questo possa essere solo compresso e non distrutto. Chi ha realizzato un sequestro di persona, tradizionale figura di reato permanente, continua a violare la fattispecie di cui all'art. 605 c.p., e a realizzare il fatto tipico della privazione della libertà personale del sequestrato, fintanto che la condotta volontaria stessa non cessi. Ciò che permane nel reato permanente è, allora, la fase di consumazione, in corrispondenza - questo è il punto - di una permanenza della condotta tipica, la cui cessazione segna l'esaurimento della fase di consumazione del reato e, quindi, della permanenza stessa. A tale caratteristica realizzazione del fatto tipico l'ordinamento collega effetti giuridici diversi, tutti comunque ispirati all'idea per cui la permanenza della condotta tipica e dell'offesa devono ricevere adeguato trattamento, diverso da quello previsto per l'ipotesi di istantaneità della condotta stessa e dell'offesa. Così, l'art. 382 comma 2 c.p.p. dispone che nel reato permanente lo stato di flagranza dura fino a quando non è cessata la permanenza, e l'art. 158 c.p. prevede che, per il reato permanente, il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la permanenza. Ancora, la permanenza della fase di consumazione fa sì che "legge del tempo in cui fu commesso il reato", a norma dell'art. 2 c.p., possa essere considerata, senza violazione del principio di irretroattività, quella più sfavorevole sopravvenuta nel corso della permanenza, come pacificamente si ammette, anche da parte della giurisprudenza[7]. Conseguenze giuridiche di un tale rilievo possono giustificarsi, si badi bene, solo alla luce della sopra esposta caratteristica volontaria protrazione della condotta tipica e dell'offesa, propria del reato suscettibile di permanenza.
Aderendo a questa impostazione, la citata sentenza del G.U.P. di Barcellona Pozzo di Gotto, nel dichiarare l'intervenuta prescrizione del reato, ha affermato che "la cessazione della condotta lesiva per fatto volontario del reo (1975) [nd.r.: data della cessata inosservanza delle contestate regole cautelari] oppure comunque per fatto a lui esterno che ne ha reso impossibile la perpetrazione (1993) [n.d.r.: anno della chiusura dello stabilimento Sacelit], segna il momento consumativo del delitto (permanente) di disastro innominato colposo".
E' chiaro che anche questa impostazione, in relazione ai casi di attività industriali cessate da decenni, vanifica per lo più gli sforzi tesi a inquadrare i fatti di esposizione a sostanze tossiche nella figura del disastro.
b) Secondo una diversa impostazione, accolta dal Tribunale di Torino nel giudizio di primo grado relativo al caso Eternit, il protrarsi dell'evento-disastro allungherebbe il periodo di consumazione del reato[8], nel senso che questo sarebbe permanente finché dura l'esposizione a pericolo della pubblica incolumità. In applicazione di questo principio di diritto il Tribunale ha affermato la permanenza del reato di disastro innominato doloso (escludendone la prescrizione) con riferimento ai soli fatti - relativi agli stabilimenti di Casale Monferrato e Cavagnolo - che hanno comportato la dispersione di polveri di amianto nell'ambiente esterno (in ragione della prassi dell'utilizzo dei residui di produzione per la costruzione di strade e abitazioni), con conseguente - ancora perdurante - esposizione della popolazione. Viceversa, il Tribunale di Torino ha ritenuto cessato il pericolo per la pubblica incolumità - e con esso la permanenza del suddetto reato, dichiarato prescritto - con riferimento ai fatti (relativi agli stabilimenti di Bagnoli e Rubiera) per i quali l'inquinamento era essenzialmente legato all'attività lavorativa, sicché, cessata questa, "è cessata quella situazione di forte e grave pericolo per l'incolumità pubblica e la salute che caratterizza il disastro"[9].
Senonché, la tesi che fa dipendere la permanenza del disastro dal perdurare del pericolo per la pubblica incolumità - essa sì funzionale a escludere la prescrizione del reato - non persuade perché confonde la permanenza degli effetti del reato con la permanenza del reato e, ancor prima, sul piano teorico-sistematico, l'offesa al bene giuridico (il pericolo per la pubblica incolumità: c.d. evento giuridico) con l'evento (il disastro, c.d. evento naturalistico)[10].
c) Secondo una tesi ancora diversa, sostenuta dalla Corte d'Appello di Torino nel caso Eternit, il disastro innominato sarebbe un reato a consumazione prolungata, che si consumerebbe con la cessazione del fenomeno epidemico (inteso come eccesso numerico delle morti e delle malattie professionali nell'area interessata, che rappresenterebbe l'evento disastroso)[11]. Avendo nel caso di specie rilevato la mancata cessazione del fenomeno epidemico in tutte le aree interessate dalla vicenda Eternit - comprese quelle nelle quali l'inquinamento è risultato limitato agli ambienti di lavoro (Bagnoli e Rubiera) - la Corte d'Appello di Torino ha riformato la sentenza di primo grado e affermato in ogni caso la permanenza del reato, escludendone l'intervenuta prescrizione. Questa tesi - anch'essa funzionale a escludere la prescrizione, ma evidentemente non accolta dalla Cassazione - confonde a nostro avviso l'evento costitutivo del disastro (il pericolo per la pubblica incolumità) con gli eventi dei delitti di lesioni (la malattia) e di omicidio colposo (la morte). Valgono perciò le considerazioni critiche che ci accingiamo a svolgere appresso (anche volendo prescindere dalla circostanza che nell'ipotesi di esposizione ad amianto il momento di cessazione del pericolo è antecedente a quello di cessazione del fenomeno epidemico, stante, il notorio periodo di latenza che caratterizza le malattie derivanti da tale esposizione).
d) Un'ultima tesi, infine, è del tutto funzionale all'obiettivo di escludere la prescrizione perché sgancia la consumazione del disastro dalla condotta, sostenendo la necessità di fare invece riferimento al perdurare dell'evento-disastro, che si realizzerebbe nel momento in cui le persone esposte alle polveri di amianto contraggono una malattia professionale e muoiono. E' però una tesi (sostenuta ad esempio dall'accusa nel citato caso Sacelit) in aperto contrasto con la nozione di disastro generalmente accolta, di recente con l'autorevole avallo della Corte costituzionale (sent. 327/2008), la quale ha sottolineato che un disastro è configurabile "senza che sia richiesta anche l'effettiva verificazione della morte o delle lesioni di uno o più soggetti". Il che significa che gli eventi morte o lesioni, correlati al disastro di cui si tratta, non possono segnare il momento consumativo del reato contro la pubblica incolumità, del quale non sono elementi costitutivi[12]. Se ne ha conferma d'altra parte nella giurisprudenza della Suprema Corte, che ammette il concorso tra il disastro colposo ex art. 449 c.p. e l'omicidio colposo o le lesioni personali colpose, e ciò proprio perché "la morte di una o più persone" (al pari delle lesioni) "non è considerata dalla legge come elemento costitutivo né come circostanza aggravante del reato di disastro, che costituisce un'autonoma figura criminosa"[13]. Il concorso formale di reati si giustifica d'altra parte in ragione del diverso bene giuridico tutelato: l'incolumità pubblica da un lato, la vita (o l'integrità fisica individuale) dall'altro[14].
Anche questa tesi, al pari di quelle considerate sopra sub c) e d), confondel'evento pericoloso (l'evento naturalistico fonte di pericolo) con gli effetticonseguenti alla sua verificazione.
***
Dietro al clamore mediatico della vicenda Eternit vi è dunque un complesso problema giuridico, che come abbiamo cercato di mostrare va oltre alla questione del dies a quo della prescrizione e svela il contrasto tra l'interpretazione costituzionalmente conforme del delitto di disastro innominato, fornita dalla Corte costituzionale nel 2008, e il diritto vivente, che ricorre a quella figura criminosa per sanzionare la causazione di eventi - come la dispersione prolungata nell'ambiente di fibre di amianto - disomogenei rispetto ai disastri nominati. Forte è il sospetto di una violazione del principio della riserva di legge, e dei suoi corollari.
L'auspicio è che proprio il clamore della vicenda Eternit possa contribuire da un lato a spingere gli operatori della giustizia ad una maggiore consapevolezza dei vincoli derivanti dalla fedeltà alla legge e ai principi costituzionali (già in sede di costruzione dei capi d'imputazione) e, dall'altro lato, a suggerire le necessarie riforme, in grado di realizzare un'adeguata prevenzione e repressione dei più gravi fatti di inquinamento ambientale, capaci di devastare la vita di noi tutti.
martedì 18 novembre 2014
13 novembre 2014
Qualcosa è cambiato il giorno in cui Dema mi ha fatto ascoltare quella canzone.
Brutale, irriverente.
Nessuno di noi conosceva ancora quel gruppo formato da ragazzi della nostra zona.
Ovvero, in realtà si trattava di Torino, non di Ivrea, e la differenza non è poca.
Agli occhi di due ragazzini della provincia, Torino sembrava già un altro mondo a confronto. Era il posto dove si andava con i genitori per fare qualcosa di diverso. Sarebbe stato il posto dove scappare qualche volta di nascosto, invece di andare a scuola. E' diventato la casa di qualcuno, con l'inizio dell'università.
Purtroppo non ricordo esattamente il contesto in cui ascoltai per la prima volta "Colpo di pistola", ma ricordo che Dema cantava a memoria quelle strofe, seppure così veloci.
So per certo però che mi piacque subito.
Il motivo era che all'epoca mi divertivo ad ascoltare tutto ciò che fosse provocatorio, o che a me appariva tale almeno.
Il motivo era che all'epoca mi divertivo ad ascoltare tutto ciò che fosse provocatorio, o che a me appariva tale almeno.
Eminem, Limp Bizkit, Marilyn Manson.
Si, ho scritto Marilyn Manson.
Qualcuno mi aveva regalato il cd dei Gazosa e io l'avevo cambiato con Marilyn Manson.
Qualcuno mi aveva regalato il cd dei Gazosa e io l'avevo cambiato con Marilyn Manson.
Insomma, se c'era qualcosa con parolacce o video musicali turpi era mio.
Per presa di posizione, perchè volevo fare l'arrabbiata con il mondo, per scatenare reazioni perplesse nei miei genitori o nei professori.
Quindi non poteva non piacermi una canzone che dice "ti farò male più di un colpo di pistola
È appena quello che ti meriti".
I Subsonica però non li finivano lì.
Non erano Eminem e soprattutto non si trattava Marilyn Manson, che per fortuna ho perso per strada.
Alla soglia dei 28 anni sono andata finalmente a vedere un gruppo che a cui avrei dovuto dedicare più attenzione in questi anni e che spesso ho lasciato sullo sfondo.
E' strano come io pensi per mesi alla sera di un concerto, chiedendomi come sarà, ripassando un po' il repertorio musicale. E poi tutto passa in un attimo.
Il concerto è davvero volato per me e ho capito che non importa se sono tornata tardi a "casa".
Probabilmente qualche anno fa non sarei mai riuscita ad apprezzare adeguatamente alcune loro canzoni.
Non ci avrei capito niente.
Invece, oggi "Strade", "Eden" e altri pezzi entrano di diritto nelle canzoni che porterò con me sempre.
Alla soglia dei 28 anni sono andata finalmente a vedere un gruppo che a cui avrei dovuto dedicare più attenzione in questi anni e che spesso ho lasciato sullo sfondo.
E' strano come io pensi per mesi alla sera di un concerto, chiedendomi come sarà, ripassando un po' il repertorio musicale. E poi tutto passa in un attimo.
Il concerto è davvero volato per me e ho capito che non importa se sono tornata tardi a "casa".
Probabilmente qualche anno fa non sarei mai riuscita ad apprezzare adeguatamente alcune loro canzoni.
Non ci avrei capito niente.
Invece, oggi "Strade", "Eden" e altri pezzi entrano di diritto nelle canzoni che porterò con me sempre.
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giovedì 13 novembre 2014
Always look for the bright side.
Sto pensando a quella poesia di Montale
dedicata alla sua compagna.
"Ho sceso dandoti il braccio" si intitola.
http://www.stedo.it/poesie/montale5.htm
Mi è venuta in mente così.
Dal nulla, quasi.
Non è neanche tra le mie
preferite e, infatti, non è tra quelle che sono pronte ad aspettarmi quando faccio ritorno ad Ivrea, appese nella mia stanza dal 2006.
Capita a tutti no?
Di colpo ci vengono in
mente ricordi a cui non pensavamo da un secolo e che fino ad un istante prima erano sepolti chissà dove.
Pensavo alla compagna di Montale, una donna estremamente miope, di cui lui si fidava ciecamente, scusate il gioco di parole, al punto da reputarla la sua guida nella vita.
Pensavo a tutte quelle volte che siamo
sicuri di qualcosa e chi sta davanti a noi ci fa capire che non si fida del tutto.
Indispone.
Soprattutto se hai davanti qualcuno che ti
conosce bene, o almeno credi. Ti sembra che in qualche
modo ti sfugga. Sempre.
Sarebbe bello invece lasciarsi guidare, non farsi prendere dallo scetticismo, non fare domande..
A volte però si oltrepassano bivi che noi non avremmo mai incrociato per conto nostro.
Non ci fermiamo davanti a porte su cui invece dobbiamo indugiare.. per poi finalmente aprirle una volta per tutte.
Ringraziamo chi ci lascia indietro ogni
tanto.
Così possiamo tornare a riaprire gli occhi e a vederci di nuovo.
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lunedì 27 ottobre 2014
Cosa significa?
Non ci sono significati reconditi.
Non ci sono domande da fare.
Certe cose accadono e basta, altre no.
Oppure.
Oppure deve andare proprio così.
C'è certamente una ragione per cui un giorno ti ritrovi a leggere una frase scritta anni fa. E, immancabilmente, ventiquattro ore dopo un'amica ti fa una domanda proprio riferita a quella frase.
Ancora, non è casuale forse se cento chilometri fanno in modo che tu possa evitare una scomoda decisione.
Sono ossessionata dalle coincidenze.
Le cerco e le forzo anche probabilmente.
Il motivo è così semplice e evidente.
Ho bisogno anche io della mia guida.
Per capire se sto andando nella direzione giusta.
La Natura è un tempio dove incerte parole
mormorano pilastri che sono vivi,
una foresta di simboli che l'uomo
attraversa nei raggi dei loro sguardi familiari.
Come echi che a lungo e da lontano
tendono a un'unità profonda e buia
grande come le tenebre o la luce
i suoni rispondono ai colori, i colori ai profumi.
Profumi freschi come la pelle d'un bambino
vellutati come l'oboe e verdi come i prati,
altri d'una corrotta, trionfante ricchezza
che tende a propagarsi senza fine- così
l'ambra e il muschio, l'incenso e il benzoino
a commentare le dolcezze estreme dello spirito e dei sensi.
Subsonica- Di domenica
Tears for fears - Everybody wants to rule the world
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lunedì 20 ottobre 2014
27 settembre 2014
E poi ad un certo punto arriva.
E' come una doccia gelata.
Una corsa a più non posso dietro l'ultimo pullman.
Prendere il fiato prima di un tuffo da una scogliera.
Il rombo del motore di un aereo che decolla.
Cantare una canzone che ti piace in macchina, con la musica al massimo.
E' come se ti fossi svegliato da un lungo sonno e sei ancora stordito.
E' inebriante e non ne vorresti farne mai a meno.
Invece è così raro che capiti.
Si dice che arrivi quando meno ce lo si aspetti.
Ma forse è proprio l'attesa di quel momento ciò a cui non dobbiamo rinunciare mai.
E' come una doccia gelata.
Una corsa a più non posso dietro l'ultimo pullman.
Prendere il fiato prima di un tuffo da una scogliera.
Il rombo del motore di un aereo che decolla.
Cantare una canzone che ti piace in macchina, con la musica al massimo.
E' come se ti fossi svegliato da un lungo sonno e sei ancora stordito.
E' inebriante e non ne vorresti farne mai a meno.
Invece è così raro che capiti.
Si dice che arrivi quando meno ce lo si aspetti.
Ma forse è proprio l'attesa di quel momento ciò a cui non dobbiamo rinunciare mai.
lunedì 22 settembre 2014
Tips about Rome
La città eterna. Le parole si sprecano per questa metropoli così ricca di storia.
Su internet troverete qualsiasi informazioni su cosa visitare a Roma, perciò il mio scopo è fornirvi qualche dritta su dove mangiare!
Partiamo da dove provare i primi piatti della cucina romana.
- Trattoria Vecchia Roma
http://www.trattoriavecchiaroma.it/
ristorante molto conosciuto per la sua amatriciana flambè, preparata nella forma di pecorino. Ottimo anche l'antipasto fritto, porzioni abbondanti.
- Grazia & Graziella
www.graziaegraziella.it
Nel quartiere di Trastevere, un ambiente accogliente e ricco di insegne di un tempo. D'estate si può mangiare all'aperto sulla piazzetta antistante
Ottime fettuccine al farro cacio e pepe e insalate. Anche qui porzioni abbondanti e quando sono stata io.. aperitivo e amaro offerti a pranzo!
Su internet troverete qualsiasi informazioni su cosa visitare a Roma, perciò il mio scopo è fornirvi qualche dritta su dove mangiare!
Partiamo da dove provare i primi piatti della cucina romana.
- Trattoria Vecchia Roma
http://www.trattoriavecchiaroma.it/
ristorante molto conosciuto per la sua amatriciana flambè, preparata nella forma di pecorino. Ottimo anche l'antipasto fritto, porzioni abbondanti.
- Grazia & Graziella
www.graziaegraziella.it
Nel quartiere di Trastevere, un ambiente accogliente e ricco di insegne di un tempo. D'estate si può mangiare all'aperto sulla piazzetta antistante
Ottime fettuccine al farro cacio e pepe e insalate. Anche qui porzioni abbondanti e quando sono stata io.. aperitivo e amaro offerti a pranzo!
- Osteria Bibi e Romeo
http://www.bibieromeo.it/
Vicino al Vaticano, offre un ottimo rapporto qualità prezzo. Buonissime mezze maniche alla gricia rivisitata con l'aggiunta di zucchine. Mi sono stati inoltri offerti dalla casa ben due antipastini.
- Ristorante Santa Cristina al Quirinale
http://www.ristorantesantacristinaalquirinale.it/
In una piccola via vicino al Foro di Traiano c'è questo ristorante con qualche posto a sedere fuori e ampio ambiente interno. Qui si deve provare la Delizia Santa Cristina, ovvero mezze maniche con zucchine e fiori di zucca croccanti.
Unico inconveniente, il cestino del pane è pagamento, ma a onor della cronaca è specificato sul menù e molti utenti su Tripadvisor lo segnalano.
Veniamo ora ad alcune scelte più particolari.
- Likeat
https://www.facebook.com/pages/Likeat-Roma/214719028701697
aperto da pochissimo, è balzato immediatamente al primo posto su Tripadvisor. Si trova a due passi da Castel Sant'Angelo. La specialità è il panino con la porchetta ed è semplice e divino. Lasciatevi consigliare per quanto riguarda gli abbinamenti.
- Tiepolo
http://www.tripadvisor.it/Restaurant_Review-g187791-d816373-Reviews-Tiepolo-Rome_Lazio.html
carino, informale, adatto ad una cena con gli amici in cui condividere ciò che si ordina.
Ottima l'insalata con avocado e bacon grattugiato.
- Sant'Eustachio il Caffè
http://www.santeustachioilcaffe.it/
il miglior caffè di Roma si trova tra Piazza Navona e il Pantheon.
- Agorà
http://www.agorarestaurantandbar.com/
vicino alla Stazione di Termini, un posto elegante e alla moda, ma con prezzi più che ragionevoli.
Porzioni abbondanti, ottima la parmigiana di mare.
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venerdì 19 settembre 2014
Strade che si lasciano guidare forte
Poche parole piogge calde e buio
Tergicristalli e curve da drizzare
Strade che si lasciano dimenticare
Forse sta a pochi metri da me
Quello che cerco e vorrei trovare
La forza di fermarmi
Perchè sto già scappando mentre non riesco a stringere più a fondo
e ora che sto correndo
Vorrei che fossi con me
Che fossi qui
Sento a pochi metri da me
Quello che c'era e vorrei trovare
La forza di voltarmi
Perchè se stai svanendo io non ci riesco
A stringere più a fondo ora che sotto il mondo
Vorrei che tu fossi qui
Che fossi qui
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domenica 7 settembre 2014
Tips about Berlin
Ho pensato di impostare in modo differente i miei posts sui viaggi.
- Gedachtniskirche- la vista dalla cupola del Duomo
E' inutile che scriva una carrellata di luoghi da visitare: queste cose si possono tranquillamente trovare su internet in moltissimi siti ormai.
Il mio obiettivo sarà quello di dare consigli più specifici in base alle mie esperienze, con la speranza di poter sempre aiutare chi si imbatte in queste pagine.
Berlino è stata la meta per il mio viaggio primaverile.
Non c'è stato un colpo di fulmine tra me e questa città. La sua architettura moderna non mi ha affascinato, ma non si possono muovere rimproveri a questa città uscita distrutta dalla guerra.
L'avevo già visitata dieci anni e l'immagine più forte che avevo tra i miei ricordi era una Postdamer platz ancora in costruzione... oltre al bellissimo ricordo di me che accarezzo un rinoceronte allo zoo.
In questi mesi, tantissime gru si stagliano sul cielo di Berlino. I lavori continuano e si sono spostati da Postadamer platz, che ormai ha una sua compiuta identità, ad altre zone. Al momento Unter den linden è un cantiere unico, così come la Bebelplatz .
Nonostante ciò, Berlino mi ha trasmesso un'immagine di città molto vivibile.
E' enorme, ma non è caotica. In metropolitana e sui mezzi la gente non è costretta a viaggiare come sardine. Si respira, c'è spazio per tutti. Il traffico è davvero minimo nelle zone centrali.
I mezzi sono assolutamente da utilizzare vista l'immensità della città.
Pochissime persone chiedono l'elemosina per strada e pochi sono gli immigrati in giro. Con questa frase non voglio sembrare razzista. Voglio solo che dire trascorrere cinque giorni a Berlino mi ha riportato indietro di tantissimi anni. Ho pensato soprattutto alla mia città a Milano, che, come tanti altri posti in Italia, è in difficoltà nel gestire tutti gli stranieri che vi arrivano.. al punto che per me noi è ormai normale vedere gente che dorme e vive sulle panchine del parco, gente che ti chiede i soldi per strada ecc..
Ecco a Berlino tutto questo non c'è.
Vi sono minoranze culturali ormai stabilmente integrate, come i turchi a Kreuzberg. Passeggiare per il loro mercato lungo le rive del fiume e assaggiare qualche specialità turca è qualcosa che vi consiglio senz'altro di fare.
Un altro quartiere che è stata un'autentica scoperta è Prenzlauer Berg. Qui le case sono bellissime e ogni è angolo e curato è ricercato. Questo è il genere di luogo di cui mi posso innamorare!
I posti da non perdere secondo me:
- Reichstag Dome: fantastica, vi lascerà a bocca aperta. Visita su prenotazione: il sito vi fa scegliere tre possibilità ma alla fine vi vincola sulla prima preferenza. Non perdetevi anche i dintorni, soprattutto la zona moderna vicino al fiume.
- Pergamon Museum e la Museumsinsel: quando l'ho visitato per la prima volta sono rimasta senza parole per l'omonimo altare. Questa volta invece ho apprezzato di più la porta di Mileto e Ishtar, quasi totalmente autentiche, mentre l'altare è ricostruito in gran parte. Ci sono anche due chicche meno pubblicizzate ma imperdibili secondo me: la porta di Aleppo e il palazzo del Califfo.
- Hackeschen hofe: cortili interni ricchi di negozi e caffè particolari nel quartiere Ebraico.
- Gendarmenmarkt: unica nel suo genere.
- Prenzlauer Berg
- Il mercato turco di Kreuzberg- Gedachtniskirche- la vista dalla cupola del Duomo
Dove mangiare:
- Barcomi's Deli. http://barcomis.de/index.php
Questo posto è delizioso e si trova in un cortile
nascosto nel quartiere ebraico. Torte fantastiche.
- Gasthaus Julchen Hoppe http://www.prostmahlzeit.de/julchenhoppe/
vicino a Nikolaiviertel c'è
questo ristorante dove con un piatto ci si sazia tranquillamente
e si esce davvero soddisfatti.
- Standige Vertretung http://www.staev.de/en/
lungo il fiume, questa birreria è super affollata e ottima. Anche qui
porzioni super abbondanti.
- Steakhouse Asador. http://www.restaurant-asador.de/
La cucina tedesca è buona, ma non molto varia. Se
siete stufi e cercate una valida alternativa, questo ristorante è economico ma
il servizio è molto curato e la carne fantastica.
lunedì 1 settembre 2014
Travel is the only thing that you buy that makes you richer...
"Buonasera e benvenuta a bordo".
Non so voi, ma quando vado all'estero, capisco che il viaggio è finito quando la voce italiana dell'hostess mi accoglie sull'aereo.
E' in quel momento che scendo dalla nuvoletta e ritorno alla realtà.
Ogni volta ha un che di traumatico talmente è forte il mio amore per i viaggi.
Non avevo mai fatto una vacanza così, in due stati che hanno davvero poco in comune.
Com'è il Marocco?
Il Marocco mi è sembrato un luogo sospeso tra Africa e Medio Oriente ed è un posto dove so già che vorrei tornare: una settimana davvero non mi è bastata.
Marrakech è una città che forse non si può non visitare nella propria vita.
Caotica, rumorosa, ma anche magica.
La medersa, le tombe saadiane, i giardini Majorelle.. sono posti ricchi di fascino. La sinagoga mascosta tra le vie della Kasbah è un gioiellino.
C'è qualcosa di infernale poi nella notte di piazza Jemaa El Fna, avvolta dai fumi delle bancarelle di cibo e gremita di gente. All'inizio, ti senti disorientato quando ti fai strada tra i tizi che si portano dietro scimmie, i berberi che cantano e suonano, le donne che cercano di convincerti a fare l'henne, e l'avvoltoio.. e sì l'avvoltoio.
E' così che mi immagino che sia l'India, ma posso anche sbagliarmi.. adesso potrei essere davvero pronta per andarci.
Perchè è vero, l'impatto con piazza Jemaa el Fna è forte, ma dopo poco è facile prendere il ritmo di quella danza infernale, fino a sentirsi più tranquilli che a Milano.
Cosa mi porto dietro del popolo marocchino?
Sono gente in gamba, che sa che se il turista paga per qualcosa ha diritto ad essere trattato al meglio. E' questa l'idea che guida i marocchini quando ti accolgono nei ristoranti e fanno attenzione al fatto che nessuno si avvicini per importunare o rubare una borsetta. Un popolo da cui dovremmo certamente trarre esempio in questo senso.
A volte sono pressanti, anche questo è vero. Specialmente quando cercano di convincerti a comprare qualcosa, quando ti fissano con insistenza affinchè tu ti senta osservata e gli conceda attenzione, oppure quando insistono per darti indicazioni, a volte anche sbagliate. Ma come tutti i popoli, c'è di tutto per fortuna. E se i primi giorni è difficile capire a chi rivolgersi per avere informazioni, man mano ci si fa l'occhio e si capisce subito che è pieno di donne, uomini e bambini pronti a aiutarti e che non si aspettano nulla in cambio. Importante è sapere scegliere a chi rivolgersi.
Il pedone conta meno di niente a Marrakech. Loro sfrecciano con queste motorette in ogni stradina e il casco, peraltro inconsistente, diventa un porta oggetti da appendere al manubrio.
I marocchini percepiscono la paura del turista nell'attraversare ed è difficile che le macchine rallentino per cedere il passo. Tuttavia, se ci si mostra decisi, le cose cambiano e si riesce ad attraversare.
Mal che vada vi può magari accadere una cosa molto carina che è successa a me. Ad un incrocio mi sono trovata a fianco una donna col velo. Solo gli occhi erano scoperti e mi hanno lanciato uno sguardo d'intesa. La donna mi ha infatti preso per il braccio e aiutato ad attraversare! Ovviamente ero elettrizzata da questo gesto così gentile.
Che dire poi dei ragazzini che sul pullman per andare alla valle di Ourika offrono alle uniche straniere ciò che comprano dalle bancarelle quando il bus si ferma? o di quelli che mi hanno aiutato ad arrampicarmi alle cascate perchè avevo una tremenda paura di scivolare? o di chi simpaticamente ci chiamava gazzelle quando ci vedeva passare per strada?
Me li porterò tutti nel cuore, come pure il taxista che mi prendeva in giro perchè tenevo la cintura con la mano dato che non c'era il posto per agganciarla.
Anche dell'esperienza del viaggio nel deserto mi rimarrà un forte segno. Paesaggi stupendi tra le gole di Dades, i palmeti di Skoura e le dune di Merzouga. Credo che poche cose possano essere più affascinanti di una notte passata nel deserto sotto le stelle, nonostante tutta l'anguria che ho dovuto mangiare per non patire il caldo.
Molti si preoccupano del vestiario da tenere quando si gira per le città per non offendere le usanze mussulmane. La mia opinione è che alla fine le cose più importanti sono quelle più semplici: salutare quando si entra in un negozio o in un ristorante, ringraziare sempre. E' questo che rende il turista rispettoso.
Quando siamo arrivate a Fuerteventura, il Marocco mi è sembrato distante anni luce ed è stata una strana sensazione. Ma non poteva essere diversamente.
Fuerte è stata una scoperta.
Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di vedere isole dai mari bellissimi: Cefalonia, Zante, Sicilia, Minorca, Favignana...
I paragoni però non sono giustificati perchè Fuerte è un mondo a parte.
E' il mondo di chi fa surf, windsurf e kite-surf. Qui vale davvero la pena venire per provare questi sport.
La parte bella di tutto ciò è che la cosa non si riduce a faticare in acqua, ma c'è anche modo di conoscere gente nuova e chissà.. finire magari a bere una birra tutti assieme dopo la lezione o fare un barbecue in una spiaggia dove ci siete solo voi.
A parte Fuerte, sono rimasta molto stupita da Lanzarote. Un piccolo gioiello. Bisogna ringraziare Cesar Manrique, le cui installazioni sono state davvero una scoperta per me e a cui va il merito di aver reso quest'isola così graziosa. Il contrasto tra le colline nere e le casette bianche è qualcosa di unico.
Tornerò alle Canarie?
Chi lo sa. Come detto, sono certa che vorrei vedere Fez, Tangeri e Chefchaouen..
Per Fuerte il "progetto" potrebbe essere più mirato e avere a che fare con quella tavola che può davvero portarti sopra le onde, per far sì che non resti un'esperienza isolata.
Vedremo.
Una cosa è certa, ogni volta che torno da un viaggio la voglia di vedere altri posti non manca mai. La spinta verso luoghi dove non sono ancora stata è sempre forte. L'Asia, in particolare, mi chiama a sè ormai da tempo.
Se mi metto a fare una lista di ciò che vorrei visitare, mi sembra che il tempo non sarà sufficiente.
Ma io ce la metterò tutta per vivermi quasi tutti quei sogni che ho nel cassetto.
Mr. Probz - Waves
Non so voi, ma quando vado all'estero, capisco che il viaggio è finito quando la voce italiana dell'hostess mi accoglie sull'aereo.
E' in quel momento che scendo dalla nuvoletta e ritorno alla realtà.
Ogni volta ha un che di traumatico talmente è forte il mio amore per i viaggi.
Non avevo mai fatto una vacanza così, in due stati che hanno davvero poco in comune.
Com'è il Marocco?
Il Marocco mi è sembrato un luogo sospeso tra Africa e Medio Oriente ed è un posto dove so già che vorrei tornare: una settimana davvero non mi è bastata.
Marrakech è una città che forse non si può non visitare nella propria vita.
Caotica, rumorosa, ma anche magica.
La medersa, le tombe saadiane, i giardini Majorelle.. sono posti ricchi di fascino. La sinagoga mascosta tra le vie della Kasbah è un gioiellino.
C'è qualcosa di infernale poi nella notte di piazza Jemaa El Fna, avvolta dai fumi delle bancarelle di cibo e gremita di gente. All'inizio, ti senti disorientato quando ti fai strada tra i tizi che si portano dietro scimmie, i berberi che cantano e suonano, le donne che cercano di convincerti a fare l'henne, e l'avvoltoio.. e sì l'avvoltoio.
E' così che mi immagino che sia l'India, ma posso anche sbagliarmi.. adesso potrei essere davvero pronta per andarci.
Perchè è vero, l'impatto con piazza Jemaa el Fna è forte, ma dopo poco è facile prendere il ritmo di quella danza infernale, fino a sentirsi più tranquilli che a Milano.
Cosa mi porto dietro del popolo marocchino?
Sono gente in gamba, che sa che se il turista paga per qualcosa ha diritto ad essere trattato al meglio. E' questa l'idea che guida i marocchini quando ti accolgono nei ristoranti e fanno attenzione al fatto che nessuno si avvicini per importunare o rubare una borsetta. Un popolo da cui dovremmo certamente trarre esempio in questo senso.
A volte sono pressanti, anche questo è vero. Specialmente quando cercano di convincerti a comprare qualcosa, quando ti fissano con insistenza affinchè tu ti senta osservata e gli conceda attenzione, oppure quando insistono per darti indicazioni, a volte anche sbagliate. Ma come tutti i popoli, c'è di tutto per fortuna. E se i primi giorni è difficile capire a chi rivolgersi per avere informazioni, man mano ci si fa l'occhio e si capisce subito che è pieno di donne, uomini e bambini pronti a aiutarti e che non si aspettano nulla in cambio. Importante è sapere scegliere a chi rivolgersi.
Il pedone conta meno di niente a Marrakech. Loro sfrecciano con queste motorette in ogni stradina e il casco, peraltro inconsistente, diventa un porta oggetti da appendere al manubrio.
I marocchini percepiscono la paura del turista nell'attraversare ed è difficile che le macchine rallentino per cedere il passo. Tuttavia, se ci si mostra decisi, le cose cambiano e si riesce ad attraversare.
Mal che vada vi può magari accadere una cosa molto carina che è successa a me. Ad un incrocio mi sono trovata a fianco una donna col velo. Solo gli occhi erano scoperti e mi hanno lanciato uno sguardo d'intesa. La donna mi ha infatti preso per il braccio e aiutato ad attraversare! Ovviamente ero elettrizzata da questo gesto così gentile.
Che dire poi dei ragazzini che sul pullman per andare alla valle di Ourika offrono alle uniche straniere ciò che comprano dalle bancarelle quando il bus si ferma? o di quelli che mi hanno aiutato ad arrampicarmi alle cascate perchè avevo una tremenda paura di scivolare? o di chi simpaticamente ci chiamava gazzelle quando ci vedeva passare per strada?
Me li porterò tutti nel cuore, come pure il taxista che mi prendeva in giro perchè tenevo la cintura con la mano dato che non c'era il posto per agganciarla.
Anche dell'esperienza del viaggio nel deserto mi rimarrà un forte segno. Paesaggi stupendi tra le gole di Dades, i palmeti di Skoura e le dune di Merzouga. Credo che poche cose possano essere più affascinanti di una notte passata nel deserto sotto le stelle, nonostante tutta l'anguria che ho dovuto mangiare per non patire il caldo.
Quando siamo arrivate a Fuerteventura, il Marocco mi è sembrato distante anni luce ed è stata una strana sensazione. Ma non poteva essere diversamente.
Fuerte è stata una scoperta.
Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di vedere isole dai mari bellissimi: Cefalonia, Zante, Sicilia, Minorca, Favignana...
I paragoni però non sono giustificati perchè Fuerte è un mondo a parte.
E' il mondo di chi fa surf, windsurf e kite-surf. Qui vale davvero la pena venire per provare questi sport.
La parte bella di tutto ciò è che la cosa non si riduce a faticare in acqua, ma c'è anche modo di conoscere gente nuova e chissà.. finire magari a bere una birra tutti assieme dopo la lezione o fare un barbecue in una spiaggia dove ci siete solo voi.
A parte Fuerte, sono rimasta molto stupita da Lanzarote. Un piccolo gioiello. Bisogna ringraziare Cesar Manrique, le cui installazioni sono state davvero una scoperta per me e a cui va il merito di aver reso quest'isola così graziosa. Il contrasto tra le colline nere e le casette bianche è qualcosa di unico.
Tornerò alle Canarie?
Chi lo sa. Come detto, sono certa che vorrei vedere Fez, Tangeri e Chefchaouen..
Per Fuerte il "progetto" potrebbe essere più mirato e avere a che fare con quella tavola che può davvero portarti sopra le onde, per far sì che non resti un'esperienza isolata.
Vedremo.
Una cosa è certa, ogni volta che torno da un viaggio la voglia di vedere altri posti non manca mai. La spinta verso luoghi dove non sono ancora stata è sempre forte. L'Asia, in particolare, mi chiama a sè ormai da tempo.
Se mi metto a fare una lista di ciò che vorrei visitare, mi sembra che il tempo non sarà sufficiente.
Ma io ce la metterò tutta per vivermi quasi tutti quei sogni che ho nel cassetto.
Mr. Probz - Waves
martedì 29 luglio 2014
Dog days are over.
Mi manca il fiato. La testa non c'è e le gambe lo sentono.
Sto pensando "non ce la farò".
Nonostante i pensieri negativi vado avanti però..
Non ho nulla da perdere. La gara è sempre più vicina, ma non è oggi.
Finisco il mio chilometro di corsa.
La dispercezione è evidente: sono stata nei tempi che mi ero prefissata e le mie sensazioni sul non farcela erano del tutto errate.
La nostra mente è uno strumento tanto potente quanto difficile da orientare nella direzione giusta.
Spesso ho sottovalutato il peso dei pensieri negativi.
Ho fatto il doppio della fatica necessaria quando invece avevo tutto ciò che serviva.
Mi sono imposta di fare sempre di più.. senza essere contenta di quello che già riuscivo a fare.
Mai come questa volta è stato evidente che, invece di aiutarmi, mi stavo affossando.
Per fortuna, la voglia di dare il massimo e portare il risultato a casa è arrivata anche stavolta.
E' stato come se si fosse acceso un interruttore di colpo.
Il fiato c'era. La testa pure e la gambe finalmente la avvertivano.
Non pensavo a nulla se non a correre.
Ovviamente, una volta superato il tanto agognato step, mi è sembrata una passeggiata ed ero già pronta a farmi mille domande su quanto sarebbe venuto dopo.
Perchè a volte dobbiamo penare così tanto per raggiungere i nostri obiettivi?
Non so perchè la mente mi faccia questi brutti scherzi, forse sono io che voglio sempre faticare e non dare mai niente per scontato. Forse è nella natura di tutti.
E' che spero che quell'interruttore si accenda almeno un po' prima la prossima volta e mi faccia prendere le cose un po' più alla leggera, almeno senza remarmi contro.
" Lei ha un bel caratterino eh! Si vede che ha questa cosa innata, che vuole spingere, che vuole farsi avanti. Ma si fermi a pensare ogni tanto"... "Ah, e non perda mai la sua grinta".
Mr Probz - Waves
Sto pensando "non ce la farò".
Nonostante i pensieri negativi vado avanti però..
Non ho nulla da perdere. La gara è sempre più vicina, ma non è oggi.
Finisco il mio chilometro di corsa.
La dispercezione è evidente: sono stata nei tempi che mi ero prefissata e le mie sensazioni sul non farcela erano del tutto errate.
La nostra mente è uno strumento tanto potente quanto difficile da orientare nella direzione giusta.
Spesso ho sottovalutato il peso dei pensieri negativi.
Ho fatto il doppio della fatica necessaria quando invece avevo tutto ciò che serviva.
Mi sono imposta di fare sempre di più.. senza essere contenta di quello che già riuscivo a fare.
Mai come questa volta è stato evidente che, invece di aiutarmi, mi stavo affossando.
Per fortuna, la voglia di dare il massimo e portare il risultato a casa è arrivata anche stavolta.
E' stato come se si fosse acceso un interruttore di colpo.
Il fiato c'era. La testa pure e la gambe finalmente la avvertivano.
Non pensavo a nulla se non a correre.
Ovviamente, una volta superato il tanto agognato step, mi è sembrata una passeggiata ed ero già pronta a farmi mille domande su quanto sarebbe venuto dopo.
Perchè a volte dobbiamo penare così tanto per raggiungere i nostri obiettivi?
Non so perchè la mente mi faccia questi brutti scherzi, forse sono io che voglio sempre faticare e non dare mai niente per scontato. Forse è nella natura di tutti.
E' che spero che quell'interruttore si accenda almeno un po' prima la prossima volta e mi faccia prendere le cose un po' più alla leggera, almeno senza remarmi contro.
" Lei ha un bel caratterino eh! Si vede che ha questa cosa innata, che vuole spingere, che vuole farsi avanti. Ma si fermi a pensare ogni tanto"... "Ah, e non perda mai la sua grinta".
Mr Probz - Waves
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domenica 29 giugno 2014
Una lezione di vita
Siamo alle cascate di Lillaz (Cogne) con ragazzini dai 7 ai 15 anni.
E' tempo del pranzo al sacco e di rilassarsi prima che inizino i mega tornei di Uno.
"Ragazzi, oggi pomeriggio andiamo a sciare! Chi vuole venire?"
E' uno scherzo ovviamente, ma qualcuno dei ragazzi ci casca e alza la mano entusiasta.
"E' questa la ragione per cui mi piace lavorare con i bambini.. Perchè quando a fine giugno chiedi loro chi vuole andare a sciare, qualcuno ti risponde di sì perchè ci crede, perchè sogna davvero di poterlo fare.. Per loro, tutto è ancora possibile.."
Non so quale sia l'età migliore.
Mi ricordo però che quando avevo 12 anni, non vedevo l'ora di crescere, di passare alla fase successiva.
Non mi rendevo conto (ma chi potrebbe farlo d'altronde?) che stavo vivendo qualcosa che dopo non ci sarebbe mai più stato.
Erano gli anni in cui il massimo della felicità per me era andare in vacanza studio in Inghilterra, giocare a calcio nei prati alle feste di compleanno dei compagni di classe, andare in bici con Dema e Fillo a prendere un gelato da Vanilla, riuscire ad imparare a memoria una canzone di Eminem, vedere finalmente Matrix dopo mesi di attesa...
Cosa rimarrà della mia prima esperienza lavorativa con i ragazzi?
Tra i miei ricordi, resterà Edo, che si impegna nella pesca subacquea per battere il suo record di 16 palline recuperate con la bocca. Resterà lo sguardo di intesa con Mattia, mentre cerca di far ridere gli altri durante le prove del balletto. Resterà Agata che mi guarda e mi dice "Ilaria, tu mi mancherai". Resterà Phillip che mi sfidava su ogni cosa (partite a calcio balilla, carte, basket) e il suo scherzo della bacinella in cui sono cascata ingenuamente. Resteranno Cristina e Carlotta, che mi chiedono di venire con loro in piscina a nuotare.
Porto via con me il loro entusiasmo per le cose più semplici.
Faccio il pieno di quella dose di allegria di cui ci siamo un po' scordati col passare degli anni.e che invece che bisognerebbe sempre avere tutti i giorni.
Ma soprattutto, cercherò di non far svanire questa sensazione di spensieratezza che mi ha accompagnato durante questa settimana per cui vi sarò grata sempre.
Pharrel - Happy
E' tempo del pranzo al sacco e di rilassarsi prima che inizino i mega tornei di Uno.
"Ragazzi, oggi pomeriggio andiamo a sciare! Chi vuole venire?"
E' uno scherzo ovviamente, ma qualcuno dei ragazzi ci casca e alza la mano entusiasta.
"E' questa la ragione per cui mi piace lavorare con i bambini.. Perchè quando a fine giugno chiedi loro chi vuole andare a sciare, qualcuno ti risponde di sì perchè ci crede, perchè sogna davvero di poterlo fare.. Per loro, tutto è ancora possibile.."
Non so quale sia l'età migliore.
Mi ricordo però che quando avevo 12 anni, non vedevo l'ora di crescere, di passare alla fase successiva.
Non mi rendevo conto (ma chi potrebbe farlo d'altronde?) che stavo vivendo qualcosa che dopo non ci sarebbe mai più stato.
Erano gli anni in cui il massimo della felicità per me era andare in vacanza studio in Inghilterra, giocare a calcio nei prati alle feste di compleanno dei compagni di classe, andare in bici con Dema e Fillo a prendere un gelato da Vanilla, riuscire ad imparare a memoria una canzone di Eminem, vedere finalmente Matrix dopo mesi di attesa...
Cosa rimarrà della mia prima esperienza lavorativa con i ragazzi?
Tra i miei ricordi, resterà Edo, che si impegna nella pesca subacquea per battere il suo record di 16 palline recuperate con la bocca. Resterà lo sguardo di intesa con Mattia, mentre cerca di far ridere gli altri durante le prove del balletto. Resterà Agata che mi guarda e mi dice "Ilaria, tu mi mancherai". Resterà Phillip che mi sfidava su ogni cosa (partite a calcio balilla, carte, basket) e il suo scherzo della bacinella in cui sono cascata ingenuamente. Resteranno Cristina e Carlotta, che mi chiedono di venire con loro in piscina a nuotare.
Porto via con me il loro entusiasmo per le cose più semplici.
Faccio il pieno di quella dose di allegria di cui ci siamo un po' scordati col passare degli anni.e che invece che bisognerebbe sempre avere tutti i giorni.
Ma soprattutto, cercherò di non far svanire questa sensazione di spensieratezza che mi ha accompagnato durante questa settimana per cui vi sarò grata sempre.
Pharrel - Happy
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martedì 10 giugno 2014
You're not supposed to look back, you're supposed to keep going.
Eden se il tuo sguardo dice ti aspetto. Oggi che ogni gesto ritrova il suo senso. Poi Eden è un passo sui bordi del tempo. Eden, il riscatto, il sogno protetto. Eden, nella luce di un giorno perfetto. E se alla fine riusciremo a credere Nelle nostre promesse Avremo pace, le risposte incognite Da sempre le stesse Per diventare adulti come nuovi Dei, Di un vecchio universo. Per imparare ad affrontare il tempo noi, In un mondo diverso. E dare un domicilio alle distanze e poi, In un giorno perfetto.
Sono sempre qui, anche se non scrivo, ogni riga annotata in precedenza qui dentro parla per me e fa eco ai miei pensieri.
"Cosa farai di tutta l'energia che avrai liberato lasciando andare quei pesi morti a cui ero aggrappato?"
Subsonica - Eden, Istrice
Sono in un limbo ormai da tempo, troppo tempo.
Eppure sono riuscita a cambiare tante cose in questi anni. Ho ripreso quella vecchia lista che avevo buttato giù ormai sei anni fa e posso dire di aver fatto tutto quello che avevo annotato, dalle cose più banali a quelle più complicate.
Di fatto però continuo a trascurare una delle cose più importanti, il cordone ombelicale che mi lega al passato e che sicuramente mi priva di molte energie che potrei dedicare ad altro.
"A quali ossessioni fossilizzate, antichi insulti, sogni impossibili e fantasmi sono pronto a rinunciare?"
Cosa sto aspettando..? Come mai resto sempre imbrigliata in qualche zavorra?
Questo posso solo immaginarlo, ma sarebbe anche ora di provarlo.
E di mantenere finalmente le promesse fatte a me stessa.
Major Lazer - Get Free
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domenica 8 giugno 2014
Ora mi può entrare in testa una volta per tutte?
"There are so many doors to be opened. Don't be afraid to look behind them".
http://instagram.com/p/o-iHmqjrx3/
Rendere chiaro un concetto attraverso una fotografia.
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mercoledì 23 aprile 2014
No, non ho presente in realtà.
Mi basterebbe la spensieratezza di quella fine d'estate.
La semplicità di uno scooter che sfreccia nella grande città.
Gli immancabili Ray Ban viola e bianchi.
Canottiera, shorts e infradito, la divisa che indosserei sempre.
Se esistesse la pillola della felicità.. è questo che vorrei metterci dentro.
Se fosse un disco, lo riascolterei all'infinito fino a consumarlo.
E' per queste piccole cose che vivo.
E' ciò che cerco ogni giorno.
Così non c'è da stupirsi se quando la gente a volte mi dice "hai presente? era una di quelle giornate no, in cui ti svegli male, con la luna storta" io non ho la benché minima idea di cosa stia parlando.
La semplicità di uno scooter che sfreccia nella grande città.
Gli immancabili Ray Ban viola e bianchi.
Canottiera, shorts e infradito, la divisa che indosserei sempre.
Se esistesse la pillola della felicità.. è questo che vorrei metterci dentro.
Se fosse un disco, lo riascolterei all'infinito fino a consumarlo.
E' per queste piccole cose che vivo.
E' ciò che cerco ogni giorno.
Così non c'è da stupirsi se quando la gente a volte mi dice "hai presente? era una di quelle giornate no, in cui ti svegli male, con la luna storta" io non ho la benché minima idea di cosa stia parlando.
martedì 22 aprile 2014
E se fa male, ne è comunque valsa la pena.
Mai rifiutare un invito, mai scartare a priori quello che non conosci, mai mancare di cortesia e mai trattenersi più del necessario. Tenete la mente bene aperta, fatevi succhiare dall'esperienza vissuta e, se fa male, ne è valsa comunque la pena.
lunedì 14 aprile 2014
Ho smarrito il manuale delle mie istruzioni.
E non succede quasi mai, a due come noi,
credere che sia possibile
trovare un complice in questo disordine
tracciare un’orbita nell’atmosfera
credere che sia possibile
trovare un complice in questo disordine
tracciare un’orbita nell’atmosfera
Amore mio, la logica non è sincera,
siamo molecole oltre le nuvole,
corsie chilometriche, raggi di luce
di bombe atomiche pronte ad esplodere.
siamo molecole oltre le nuvole,
corsie chilometriche, raggi di luce
di bombe atomiche pronte ad esplodere.
chissà se amare è una cosa vera.
sabato 5 aprile 2014
365giornidimarzo
E' marzo e ogni anno, in questo mese, faccio pace con me stessa.
Mi basta poco, mi basta il sole.
Il discorso è che vorrei sentirmi ogni giorno dell'anno così.
Instancabile, serena, quasi imperturbabile.
Piena di energie.
Forse ci fa bene avere qualche mese di letargo invernale. Così poi sfruttiamo al meglio i weekend di sole e il buonumore che questa stagione porta con sé... Diversamente non noteremmo nessun cambiamento in noi?!
In realtà, diciamocelo, non mi dispiacerebbe se la mezza stagione durasse qualche mese in più.
Già mi vedo mentre la mattina apro le finestre di casa e la prima cosa che vedo è il mare.
Senza calze non appena il sole scalda abbastanza.
In giro in bici, perchè la città in cui vivo è la giusta via di mezzo e mi permette di non usare la macchina.
Non voglio questo per sempre, mi accontento di provarlo per un po'.
E' questa una delle tante aspettative che ho dal sogno che sto inseguendo.
Perchè la vita non è solo il risultato, ma è anche ciò che ci accade mentre si fa tutto ciò che è necessario per raggiungere la meta.
Avrei potuto prendere alcune decisioni nel 2011.
Invece ho aspettato e sono capitate cose che mai avrei immaginato.
Mi porterò un ricordo stupendo delle esperienze che ho fatto da ottobre in avanti.
Ne esco cresciuta e molto determinata.
Consapevole che quello che voglio fare è difficile da raggiungere e che dovrò lavorare tantissimo per ottenerlo, ancora di più di quanto mi sarei aspettata anni fa.
Un giorno o l'altro spero di poter ringraziare i miei mentori e chi mi ha sempre detto "tu ce la farai, non ho dubbi".
Ieri forse per la prima volta ho visualizzato il mio traguardo. Dicono che aiuti, che si debba fare così.
Spero che la vibrazione che ho avvertito mi aiuti nei prossimi mesi.
The Vaccines - I always knew
Lorde - Team
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